Quel principe dell’alta quota

Camoscio, acrobata fra le rocce e la neve. Il suo cuore può sopportare notevolissimi sforzi.
Camosci

L’unico segnale che ne denuncia la presenza è il rumore sull’arena delle rocce colpite dagli zoccoli. Lo si nota lassù, voltando lo sguardo verso il punto da cui proviene quel fragore; a volte in cima al poggio, altre nel mezzo di una forcella o sul terrazzo di un costone. La sensazione è che si senta a pieno agio, pur tra frane, dirupi e passaggi da brivido. Il principe, così potremmo definirlo per la sua prestanza e dimestichezza in tali ambienti, si è insediato in quei luoghi fin da tempi remotissimi.

 

Ma nonostante ciò, al vederlo da vicino, conserva pur sempre un che di casareccio. Il camoscio infatti è una capra, o almeno un suo parente stretto, anche se altamente specializzato per l’habitat estremo. Per vivere con successo lassù, infatti, ha messo a punto caratteristiche di adattamento veramente peculiari.

Lo zoccolo è un piede a durezza differenziata: il bordo esterno è duro e affilato, permette così di sfruttare al meglio le piccole spianate della roccia, i polpastrelli sono morbidi e zigrinati, fungendo perciò da presa e da freno al rischio di scivolare. Le due uniche dita sono divaricabili, collegate però da una membrana interdigitale che aumenta la superficie di appoggio in caso di necessità. Il mantello può disporre di un abito estivo e di uno invernale; ma la sua particolarità è la presenza di due strati di pelo. Uno è lungo e superficiale e uno corto e più prossimo alla pelle, particolarmente lanoso e morbido. Tra i due, appositi spazi permettono di trattenere notevoli quantità di aria. Gli strati risultano così in grado di isolare termicamente il corpo e di controllare con successo i ripetuti e repentini sbalzi di temperatura.

 

La capacità polmonare è molto superiore, se rapportata alle dimensioni, a quella dei cugini residenti in pianura e, assieme all’elevato numero di globuli rossi, permette una normale ossigenazione pur alle condizioni dell’aria rarefatta di quota. Il cuore è voluminoso ed è corazzato da spesse pareti muscolari. Queste garantiscono un mantenimento della frequenza cardiaca sui duecento battiti al minuto. Tale macchina fisiologica permette lo scatto e la corsa in salita anche su pendii ripidissimi, a condizioni di sforzo normale.

La buona sensibilità olfattiva è completata da una vista ben sviluppata, capace di precisare l’informazione che arriva dall’altro senso se a volte risulta in difetto per il normale veloce variare in quota dei fiotti d’aria.

Piccole corna, muso e maschera facciale forniscono e completano la carta d’identità di questo caratteristico ospite delle nostre vette. Il risultato: una capra alpinista che ha fatto del pendio l’habitat di elezione, un simpatico compagno nelle escursioni in montagna e capace di animare i silenzi dei valloni alpini.

 

Delle Alpi e dei Pirenei

 

In Europa sono presenti due specie, di stanza anche in Italia. Il camoscio alpino e il camoscio dei Pirenei. Il primo, con una popolazione stimata sui 124 mila esemplari e attualmente in aumento, è diffuso su tutto l’arco alpino con maggiori concentrazioni nelle province di Trento e Bolzano, Prealpi veronesi e Piemonte. Il secondo è presente oltre che sui Pirenei, con una piccola popolazione endemica sulle montagne abruzzesi, nella sottospecie del camoscio d’Abruzzo.

 

Appartiene alla famiglia dei bovidi, sottofamiglia caprini. I resti più antichi risalgono a circa 250-150 mila anni fa. La massima diffusione della specie alpina risale alla glaciazione di Wurm (80-12 mila anni fa). All’epoca, sotto l’incalzare dei ghiacci, si distribuì in quasi tutta l’Europa centrale e in parte in quella centro meridionale. Le successive mutazioni climatiche sospinsero sempre più in quota l’habitat più adatto. Il suo areale quindi si frammentò con popolazioni sempre più isolate da cui si differenziarono diverse sottospecie. A tutt’oggi è presente sulla catena alpina, sul Giura e sulle Alpi dinariche. A seguito di reintroduzioni anche sui Vosgi, in Foresta nera e sugli alti Tatra.

 

È il più piccolo ma anche il più agile dei caprini selvatici europei (stambecco, muflone e capra selvatica) ed è alto circa 70-90 centimetri al garrese. Fiero ruminante, vive in gruppi formati da femmine e piccoli, o altri con solo giovani. Il maschio adulto tende ad essere solitario, frequentando in genere areali di 300-500 ettari, solitamente a quote inferiori rispetto ai gruppi femminili.

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