Quale libertà hai scelto?

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Finalmente, la sera. Forse capita anche a voi di assaporare, dopo una giornata percorsa su inderogabili binari decisi da altri, il sottile piacere di poter disporre dopocena, a casa, del proprio tempo. Tra le mille opportunità di libera scelta, spesso si finisce per cadere nella tentazione più banale, quella di mettersi davanti al televisore, seppure nobilmente riscattata dall’intento di seguire un preciso programma. Poi, conoscete bene come va a finire. Che, a forza di dare un’occhiata ai programmi che abbiamo deciso di non vedere, sappiamo molto di ciò che avevamo scartato, ma poco di quello che avevamo scelto. Eh, sì. È proprio difficile non pensare a quello che ci siamo preclusi, una volta che abbiamo compiuto una scelta. Perché, in realtà, vorremmo scegliere tutto o, meglio, non rinunciare a nulla. Nella nostra società dalle centomila offerte, siamo attanagliati dalla difficoltà di scegliere. Il sociologo austriaco Peter Berger è giunto ad una definizione: La modernità avanzata significa il passaggio da un mondo di destino ad un mondo di scelta. Non c’è più, come un tempo non lontano, il sostegno e l’orientamento della comunità per le decisioni personali. Così, senza parametri comuni di riferimento, ci sentiamo insicuri. Cosa ne deriva? Al quesito ha cercato di rispondere Franco Garelli, docente di sociologia dei processi culturali all’università di Torino, nel contesto di un convegno promosso in marzo a Roma dal Progetto culturale della Chiesa cattolica. Molte persone hanno scelto di sperimentare continuamente cose diverse. La vita di tanti è scandita sempre più da molteplici appartenenze, condizioni, riferimenti culturali. Oggi non si parla più di una biografia, segno di un percorso personale preciso, ma di molteplici biografie, senza assegnare a una di esse un carattere esclusivo o preminente. In altre parole, siamo tante cose assieme, si sta su cento fronti, saltabeccando ora qui ora là. Il declino del posto fisso, moltiplicando le condizioni di precarietà lavorative e abitative, ha contribuito ad influenzare le scelte e le condotte di tante persone. Per certi aspetti risponde pure a un mutamento di coscienza. Per cui, per moltissime persone ha senso oggi tenere il piede in mille staffe, ha senso non orientare la propria vita in ambiti ristretti, ha senso e importanza moltiplicare le esperienze e le possibilità, senza ricondurre la propria vita in termini di unitarietà o di priorità. È il tempo della flessibilità imperante, delle scelte temporanee, delle decisioni relative. L’ultimo film di Verdone aveva per titolo un significativo L’amore è eterno finché dura. Tutto sembra segnato dalla precarietà: la parola data, gli affetti coniugali, gli impegni esistenziali. Al vocabolario della cultura dominante manca l’espressione per sempre. Per cui, le opzioni definitive – dal matrimonio alla consacrazione religiosa – sono considerate insensate, eccentriche, assurdamente vincolanti nella nostra società libertaria. In passato, la vita ruotava attorno ad un saldo baricentro, rappresentato dalla politica o dall’impegno sociale o da quello religioso. Questa generazione giovanile – chiarisce Garelli – non può fare a meno di molte appartenenze, magari anche solo appariscenti, dove ogni realtà ha un significato per suo conto, ma tutto è sullo stesso piano: il bar, la parrocchia, la ragazza, il tennis. A questo va aggiunto il grande primato dell’emotività e dell’affettività, divenute quasi il criterio unico di scelta e la chiave di orientamento nella vita. Come a dire: scelgo o faccio quel che sento in questo momento, a scapito dei progetti di ampio respiro e degli ideali. Questo è il modello della sperimentazione, che spinge la gente a impegnarsi su traguardi intermedi, mai su grandi obiettivi . In tutto questo prorompe un bisogno estremo di identità: chi sono, cosa mi caratterizza. Nella nostra società molto differenziata sono venute meno le influenze della classe sociale, del livello d’istruzione, delle sottoculture di riferimento, della comunità locale. Ecco che allora si finisce per riconoscersi in gruppi con particolari stili di vita, quasi sempre trasversali, affini alla propria sensibilità, ad alcuni valori espressivi, a certi simboli, a un determinato modo di stare insieme. Però emerge un elemento. Vengono privilegiate appartenenze poco impegnative, che consentono di tenere in superficie il rapporto con gli altri: il gruppo della bicicletta, quello delle grigliate, i camperisti. Quando ci si trova, si fiuta, ci si annusa; niente approfondimenti, niente politica. Appartenenze più impegnative precluderebbero loro altre opportunità. Come davanti al televisore. In definitiva, mentre si vuole affermare in modo rilevante la propria individualità, anche espressiva, non c’è preclusione verso la socialità, verso gli ideali. Ma per uscire dal proprio spazio ristretto, le persone devono avvertire un senso di appartenenza significativo. L’indicazione di Garelli rimanda ai fondamenti etici della società, al rapporto tra la libertà e il bene, concetti che hanno subito cambiamenti profondi nella società contemporanea. Nel passato – ha proseguito l’analisi Luigi Alici, docente di filosofia morale all’università di Macerata – l’agire dell’uomo si collocava all’interno di una scala morale ai cui estremi erano situati il bene e il male. Oggi, il modo di intendere la libertà si spinge fino al punto di poter scegliere la scala morale o, invece, sostituire il parametro etico (del bene e del male) con il parametro estetico (del gusto) o con quello economico (dell’utile). Ne deriva perciò che le nostre scelte non avvengono in un orizzonte in cui il bene ci precede e rispetto al quale noi misuriamo il valore delle cose che facciamo . Il bene rischia di diventare un oggetto di scelta accanto ad altri. Si può decidere di spendere la propria vita in termini di bene e di male, ma si può viverla anche solo in base all’utile o al gusto. A seconda della scelta, sono assai diversi i riflessi sul rapporto tra libertà e legami interpersonali. La cultura odierna ha cercato di sostituire il tramonto delle ideologie di lungo respiro con l’idolatria dei rapporti corti, giocati sulla gratificazione emozionale . Un esempio? Siamo sempre più libertari in bioetica e sempre più intransigenti in ecologia. E, di contro: Lo stesso ideale evangelico della fraternità rischia di apparire sempre più come un’opzione che si può spendere soltanto nell’ambito affettivo e gratificante del piccolo gruppo, ma non come criterio-guida nel quadro dei rapporti di lungo periodo. In questo contesto, non sono in questione solo i fondamenti della libertà ma i presupposti stessi della persona. Se in passato i filosofi sono stati impegnati a riflettere intorno all’esistenza di Dio, oggi dovremmo affermare che ci tocca il compito di dimostrare l’esistenza dell’uomo. Questo vuol dire far ritrovare il senso del mistero irraggiungibile della persona umana. Perché, se esiste una difficoltà di vivere un rapporto positivo e liberante con gli altri, questa difficoltà ne nasconde un’altra ancor più profonda: quella di vivere un rapporto autentico e liberante con sé stessi . Commento: È questo il vero grande enigma che nella società contemporanea rischia di essere censurato. Poi va giù dritto: Ciò significa assumere un atteggiamento coraggiosamente critico nei confronti di come la cultura dei mass media sta sceneggiando la patologia morbosa delle emozioni, questa morbosa pornografia che dilaga nei programmi televisivi . Il punto è di capitale importanza: L’uomo della modernità era un contenitore di progetti, l’uomo post-moderno è prevalentemente ridotto ad un contenitore di emozioni. Per cui, le libertà piccole, da cui oggi siamo costantemente assediati, vanno ricondotte al rapporto con una libertà grande che le trascende tutte. Ritorna la metafora televisiva. La libertà non è un telecomando per scegliere tra canali che si assomigliano troppo. È la capacità di sporgersi su un orizzonte che ci trascende, senza che sia avvertita come un’evasione dalle libertà piccole, perché è la libertà grande che rende grandi le piccole libertà.

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