Processo “Boschetari”: condanne per caporalato

Il tribunale di Catania ha emesso tre condanne per sfruttamento del lavoro e traffico di esseri umane. Le prime sentenze colpiscono una banda di rumeni che reclutava lavoratori in patria per utilizzarli in condizione di schiavitù. Le applicazioni della nuova legge 199 del 2016
Un momento dell'operazione 'Boschetari' condotta dalla squadra mobile di Ragusa, coordinata dalla Procura distrettuale di Catania che ha permesso di sgominare la banda che curava il reclutamento in Romania, il trasferimento in Italia e l'immissione nel settore del lavoro agricolo di numerosi connazionali. ANSA/ UFFICIO STAMPA/ POLIZIA DI STATO

Le condanne sono state esemplari. E costituiscono una pietra miliare nella battaglia contro lo sfruttamento e il caporalato. Il giudice per l’udienza preliminare di Catania ha condannato a 20 anni di reclusione il rumeno Lucian Milea, mentre altri due connazionali, Monica Iordan e Alice Oprea dovranno scontare condanne a 17 anni e 8 mesi e 10 anni.

ANSA/ UFFICIO STAMPA/ POLIZIA DI STATO
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È l’ultimo atto (almeno per ciò che riguarda la sentenza di primo grado) del processo contro alcuni componenti di una banda dedita al favoreggiamento dell’immigrazione e allo sfruttamento, in una parola alla “tratta” di esseri umani. L’operazione denominata “Boschetari” era stata messa a segno nel giugno 2018 dalla Polizia di Stato e aveva portato all’arresto di 5 rumeni. Tutti erano accusati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo , ma anche di traffico di esseri umani in danno di connazionali (compreso alcuni minori), di sfruttamento pluriaggravato della prostituzione, anche minorile.

In lingua rumena “boschetari” significa “senza tetto”. E tale era la condizione di queste persone che venivano reclutate in Romania, dove si trovavano in condizione di indigenza e trasferiti in Italia. La banda aveva messo a punto un’organizzazione ramificata che iniziava con il reclutamento in Romania di persone in stato di bisogno (spesso anche analfabeti o comunque in condizione di vulnerabilità) che venivano poi trasferiti in Italia e utilizzati nei lavori delle campagne, in condizioni di assoggettamento. Spesso chi arrivava in Italia veniva privato del passaporto, venivano isolati, le donne venivano avviate anche alla prostituzione, spesso esercitata insieme all’attività principale di lavoro nei campi. Le vaste distese di serre della zona di Vittoria ed Acate erano il luogo in cui si compiva – e si compie tuttora – la tragedia di persone che spesso sopravvivono in condizioni di indigenza, quasi sub-umane.

L’inchiesta era partita allorché un rumeno, stanco di subire, a settembre 2017 si recò in Questura: dalle sue parole emerse non solo una storia di sfruttamento lavorativo, ma anche il racconto del suo arrivo in Italia. Le sue parole, insieme alle dichiarazioni di un altro rumeno, hanno permesso di avviare l’indagine culminata negli arresti di giugno 2018. Il 20 dicembre è arrivata la prima condanna, esemplare. Nel processo la Cgil e la cooperativa Proxima si sono costituiti parte civile (insieme a cinque vittime) e per loro il giudice ha deciso il pagamento di una provvisionale di 10.000 euro ciascuno.

È uno dei primi processi condotti sulla base della legge 199 del 2016, quella del cosidetto caporalato, che individua e introduce nel Codice penale un reato ben preciso, il caporalato, cioè l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro. È stato introdotto un nuovo articolo, il 603 bis, inserito tra i delitti contro la persona e la libertà individuale. Sono previste le pene e le sanzioni contro i cosiddetti “caporali” e per gli imprenditori che fanno ricorso a manodopera a basso costo tramite questo tipo di intermediazione, fuori dai criteri di legalità che la legge impone. La legge, ormai tre anni fa, venne approvata  a larga maggioranza, con l’astensione solo di lega e Forza Italia.

Si è intervenuti con una legge su un fenomeno che in Italia era divenuto dilagante: il reclutamento di lavoratori (talvolta irregolari) cooptate a lavorare nei campi, con paghe bassissime, turni massacranti, condizioni di degrado, spesso vittime di minacce e violenze.

Le frasi e i dialoghi emersi dalle intercettazioni dell’inchiesta “Boschetari”, che ora hanno portato alle condanne, sono tremende e rimarcano una condizione di assoggettamento, come quando si baratta una donna con la vendita di una partita di arance, o si usano frasi minacciose nei confronti di una donna di 60 anni non più adatta al duro lavoro dei campi. Uomini e donne erano costretti in una situazione di grande abiezione, ma queste ultime pagavano probabilmente un prezzo più alto.

«È una condanna importante – commenta Vincenzo La Monica, coordinatore del Progetto Presidio della diocesi di Ragusa, che gestisce un “presidio” di assistenza a Marina di Acate –, queste situazioni di assoggettamento sono molto diffuse. È importante che emergano e che questa legge abbia permesso di perseguirle. È importante anche fare un lavoro di sensibilizzazione nel nostro territorio, anche tra quegli imprenditori che purtroppo utilizzano questi metodi».

Da quando è entrata in vigore la nuova normativa, negli ultimi tre anni, i controlli nelle campagne sono aumentati, vi sono state delle operazioni condotte dalle forze dell’ordine e degli arresti. «Da quando è entrata in vigore la nuova normativa – continua La Monica –, la situazione è migliorata. C’è maggiore attenzione al rispetto della legge. È un dato positivo che fa ben sperare. È importante mantenere alta la guardia e continuare a tenere alti i riflettori perché questi fenomeni siano sconfitti per sempre, unendo agli aspetti repressivi quelli educativi sul rispetto della persona, della cooperazione e dell’eticità del lavoro».

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