I primi 90 anni della “Vespucci”

A bordo della superba nave scuola costruita nel cantiere navale di Castellammare di Stabia

Situata in una conca del golfo di Napoli tra la fine della zona vesuviana e l’inizio della penisola sorrentina, Castellammare di Stabia non è soltanto il parco archeologico del pianoro di Varano e neppure la città un tempo celebre per le sue acque salutari, ahimè oggi in profonda crisi per i debiti di gestione dei due complessi termali. V’è un’altra eccellenza cittadina, anch’essa purtroppo minacciata dalla crisi: si tratta del Cantiere Navale erede di quello che fu il Regio Arsenale di epoca borbonica: la più antica fabbrica di navi intesa in senso moderno, fondata nel 1783 da Giovanni Edoardo Acton, primo ministro di re Ferdinando IV.

La prima realizzazione: il vascello Partenope, varato nel 1786. L’ultima: la nave d’assalto anfibio della Marina Militare Trieste, varata nel 2019. Tra queste due date, una storia gloriosa e travagliata che nel 1939 ha visto il cantiere stabiese dapprima incorporato nella Navalmeccanica con sede a Napoli, società assorbita nel 1966 nella Italcantieri del gruppo Iri con sede a Trieste, a sua volta inglobata nel 1984 nel gruppo Fincantieri.

Formano un lungo elenco le navi costruite a Castellammare, militari e traghetti specialmente, ma la più rappresentativa è senza dubbio l’Amerigo Vespucci adibita all’addestramento degli allievi navali, varata il 22 febbraio 1931 in aggiunta alla gemella Cristoforo Colombo, di tre anni più anziana. Nave a vela con motore, lunga 101 metri per 4000 tonnellate di peso, con andatura massima di circa 10 nodi a motore e 16 a vela, esibisce tre alberi verticali, il trinchetto, la maestra e la mezzana, ai quali si aggiunge come quarto albero a tutti gli effetti il bompresso sporgente a prora, tutti dotati di vele quadre ai pennoni; vele di taglio sono allacciate invece a prora e fra gli alberi. Complessivamente, 26 vele che una volta spiegate per la navigazione formano la spettacolarità di questa nave scuola il cui equipaggio, composto da circa 270 militari tra uomini e donne, aumenta nel periodo estivo, quando con gli allievi arriva ad ospitare a bordo oltre 400 persone.

La Vespucci… e il pensiero va a quando, anni fa a Napoli, adocchiai ormeggiata al Molo Angioino, presso la Stazione Marittima, la sagoma inconfondibile di questo superbo veliero ammirato nei più importanti porti del mondo, spesso in particolari occasioni istituzionali, quale ambasciatore sul mare dell’arte, della cultura e dell’ingegneria italiana. Solo dopo essermi avvicinato al suo elegante scafo dalle fiancate a fasce bianche e nere con fregi dorati a prua e a poppa scoprii che proprio quel giorno vi si svolgevano libere visite. Non ci volle altro perché mi aggiungessi ai visitatori già avviati sulla passerella, accolto con loro da un gentilissimo ufficiale.

Dalla nostra guida appresi che, escluso a bordo il materiale sintetico, le vele riproducevano quelle tradizionali dei secoli scorsi, in tela olona di canapa dal tipico colore écru, mentre tutti i cordami erano in fibre vegetali. Legni pregiati, gareggianti in lucentezza con quanto v’era di metallico, erano impiegati per il ponte di coperta e la timoneria (teak), per le attrezzature marinaresche (mogano, teak e legno santo) e per il grigliato dei carabottini (frassino). Tutti gli ambienti riservati agli ufficiali, tra cui la cabina del comandante, sfoggiavano i raffinati arredi originali anni Trenta. Cimeli e immagini dei tanti porti visitati tappezzavano le pareti dei corridoi. Splendida la sala consiglio in noce e mogano, usata come salotto di rappresentanza. Confortevoli e dotati di comode amache gli alloggi dell’equipaggio. Dovunque ordine, perfezione dei dettagli, bellezza.

Un fischio che annunciava l’arrivo a bordo del comandante segnò anche la fine di una visita densa di emozioni, effetto delle mie letture di avventure marinaresche ravvivate dall’esperienza reale.

Anni dopo, dal 2014 al 2016, notevoli lavori di ammodernamento relativi particolarmente agli apparati propulsivo e generatore dell’energia elettrica migliorarono le capacità operative della Vespucci, resa così più atta a svolgere il proprio compito.  Quanto alla gemella Cristoforo Colombo, non ebbe un destino altrettanto felice: ceduta all’Unione Sovietica dopo la Seconda guerra mondiale, venne impiegata come nave scuola nel Mar Nero con il nuovo nome Dunay (Danubio) fino al devastante incendio del 1963 in cui andò distrutta.

Un altro ricordo riguardante la Vespucci è il curioso episodio che mi fu raccontato da un amico viareggino, Angelo. Tra gli ultimi protagonisti dell’epoca ormai mitica dei grandi velieri, per un certo periodo era stato motorista a bordo della celebre nave-scuola. Un giorno in cui essa era ormeggiata in un porto dell’Adriatico, Angelo, cullato da un impercettibile rollio e complice l’afa di un pomeriggio molto assolato, si addormentò su una coffa (la piattaforma dislocata a varie altezze degli alberi). Al risveglio, la sorpresa: la Vespucci era assolutamente deserta e silenziosa. Immaginando qualcosa di grave, il mio amico si guardò intorno allarmato. A terra, in lontananza, notò un assembramento di marinai; intravide anche centinaia di divise di cadetti: tutti guardavano verso la nave. Cos’era successo? In seguito alla notizia (rivelatasi poi falsa) di un ordigno esplosivo posto sotto la carena, era scattato l’ordine di evacuazione che però lui, placidamente addormentato, non aveva sentito. Inevitabile la punizione: esonero dal suo incarico e un mese senza mettere piede a terra.

Quest’anno, fedele al suo motto «Non chi comincia ma quel che persevera», frase attribuita a Leonardo da Vinci, la Vespucci ha superato felicemente un altro traguardo: quello dei suoi primi 90 anni, età notevole per un veliero.

 

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