Preporre l’amore a tutto

Noi siamo a posto con Dio se siamo a posto con l’uomo.
Giovani

L’approdo finale avverrà alla morte, e cioè all’uscita dalla materia e dal tempo. L’esistenza è un consumarsi per unirsi a Dio: un distruggere quanto non è divino, per far tutto degno di Dio: per essere uno con lui. È una marcia dal molteplice all’Uno: un ritorno a casa. Al culmine di questo ritorno, ognuno perderà quanto ha acquistato di particolare, per rifarsi total­mente in Dio: della sua sostanza; sì che Dio sia in ogni luogo: in ogni cellula, in ogni pensiero, in ogni atto. Ci è offerto un criterio molto semplice per giudicare se noi siamo a posto con Dio. Noi siamo a posto con Dio se siamo a posto con l’uomo. Amiamo l’Uno in cielo se amiamo l’altro in terra. Tutto molto semplice. Se non amiamo il fratello, ripassiamo dalla vita alla morte. Quindi le applicazioni: – Non fare agli altri quel che non vorresti fatto a te. – Negativamente. Tratta gli altri come vorresti essere trattato tu. – Positivamente. Io non vorrei essere calunniato, affamato, tenuto senza casa, senza lavoro, senza gioie…: e così, per quanto è in mio potere, io devo adoperarmi a che anche gli altri siano onorati, sfamati, alloggiati, impiegati e riempiti di consolazioni.

 

E qui si vede il gioco dell’amore: Cristo ama i fratelli quanto sé: dà il suo sangue per loro: e cioè, li valuta un valore infinito. Il fratello ti apre l’accesso a Dio, dando amore (in sentimenti e in opere) dai Dio. Questo preporre l’amore a tutto il resto, può parere un coltivare il sentimentalismo con la conseguenza di svirilizzare il carattere. Storie: ci vuole più coraggio a optare per il perdono che per la vendetta; più volontà a vincere sé che gli altri; è più facile coltivare il rancore che l’amore, l’in­vidia che la solidarietà. Difficile è guarirle, le piaghe, non il procurarle. Ecco la tua prova: la tua avventura. Combattere, non mostri, ma uomini: e vincerli; cioè rimetterli nel circuito della vita divina. E li vinci, vincendo col bene­ il loro male, i loro difetti, gli errori, le irriconoscenze, le assurdità, le malattie, le malvagità: non cedendo mai, non stancandoti mai di sperare e di riprendere il lavoro, a ogni crollo, che essi tenacemente, stupida­mente provocheranno, e di resistere alla loro guerra, alle loro manie, ai loro sperperi, ai loro antagonismi…: quel puerile, efferato e disperato sfasciare la casa e la Chiesa, i beni e gli affetti, senza scopo e senza logica, come folli o come infanti. Come non amare il fratello quanto me stesso, se, pro­prio perché amo il fratello, io amo, in me, Dio, e quanto più amo questo Dio in me, sono spinto a cer­care e servire i fratelli? La contemplazione di Dio in me dilata, di attimo in attimo, la mia necessità di ama­re: mi spinge a comprendere, – a prendere in me, – come aspirazione, l’Infinito.

 

Da: Il fratello, Città Nuova.

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