Un’agenda condivisa per l’Italia?

Non serve a molto il gioco del fare e disfare a seconda delle maggioranze che vanno al governo. Su alcuni punti è possibile una strategia comune di lungo periodo, che parta dalla cura e dalla valorizzazione del territorio.

I programmi elettorali per le elezioni del 4 marzo sono ormai definiti. In alcuni grandi Paesi nostri vicini (come Francia e Germania) per redigerli i partiti assumono come base un’agenda condivisa, un piano strategico a lungo termine – almeno decennale – che viene rispettato da tutte le forze politiche che si avvicendano al governo. Questa agenda in Italia manca, pur essendoci qualche parziale abbozzo: forse è tempo di sollecitarla, per evitare il gioco del “fare e disfare” in settori strategici della nazione.

Provando a tratteggiare alcune direttrici all’interno di una “visione Paese” coerente e possibilmente sinergica nelle diverse componenti, si potrebbe partire da un punto focale, il territorio. Il valore estetico del nostro Paese, il “paesaggio”, rappresenta una risorsa unica, evidente e riconosciuta del sistema Italia: per quanto spesso depauperata da modelli di produzione e consumo tesi più ad estrarne le risorse naturali che ad averne cura, recentemente e occasionalmente riscoperto, esso costituisce una possibile ragione di attrazione, di benessere, di cultura e di vita sana.

La prima, coerente connessione al territorio, non fosse altro che per ragioni economiche in un tempo di urgenza occupazionale e produttiva, è il turismo. Il piano strategico nazionale del turismo 2017-2022 accenna alcuni percorsi virtuosi, segnala l’inizio di un processo che potrebbe portare ad una vera e propria politica industriale del settore, superandone l’approccio spesso artigianale. Le potenzialità sono evidenti nei risultati delle prime azioni di valorizzazione delle risorse pubbliche inutilizzate (es. comodato gratuito di ex caselli del treno…): se i soggetti coinvolti sapessero fare sistema, potrebbe prendere forma una vera e propria “industria nazionale del turismo”.

È un passaggio operativo, culturale e politico che esige un grande gioco di squadra, superando campanilismi e operando in una prospettiva ampia: allora, anche la pista ciclabile comunale, oltre ad essere luogo di svago per i residenti e incentivo all’uso di un mezzo non inquinante, può costituire uno strumento di connessione ad altre opportunità, volano di sviluppo se collegata e integrata alle altre risorse del territorio – dal sistema museale all’agricoltura e alle produzioni o manifatture tipiche come ai servizi di alloggio e ristorazione –, assumendo così la valenza di un vero e proprio bene pubblico come si sperimenta spesso nelle Provincie autonome di Trento e Bolzano, e non solo.

Terra dei fuochi
Terra dei fuochi

Ma il territorio è strettamente legato all’esperienza che ne fanno le persone. I dissesti idrogeologici (alluvioni e frane su vari versanti del paese), i gravi fenomeni di inquinamento e le loro ricadute sulla salute delle persone (da Taranto alla Terra dei fuochi all’acqua inquinata dai Pfas a Vicenza), l’abusivismo edilizio insieme alla rinuncia di utilizzare tecniche di costruzione sicure, rendono tangibile la fragilità del nostro territorio, sono segnale evidente della mancanza di cura e ne offuscano la bellezza con gravi conseguenze economiche quanto esistenziali.

Nella stessa misura i borghi antichi curati o ripristinati attraverso un impegno e un valore condiviso da cittadini e istituzioni, le esperienze di gestione partecipata dei beni pubblici (vedi su LabSus), i percorsi di recupero e risanamento delle aree abbandonate, costituiscono esempi di un patrimonio comune che diventa straordinario volano di sviluppo economico e benessere per le persone.

Dal territorio, e dai territori, prende forma anche l’esperienza dell’inclusione sociale e dell’integrazione dei migranti: un territorio curato sa farsi carico della cura delle persone e delle relazioni tra loro, le facilita nei luoghi di incontro, di promozione culturale, di educazione e di scambio intergenerazionale. E forse non è un caso che le migliori prassi di integrazione dei migranti passino per la valorizzazione del loro contributo – di tempo, forza, competenze – nella cura dei territori dove vivono, innescando lo sviluppo di una reciproca appartenenza tra luogo e comunità, in quell’intreccio generativo tra dare e ricevere.

Infine, non può mancare in un’agenda di sviluppo la dimensione tecnologica integrata con il sistema formativo: è probabilmente venuto il  tempo per pensare una via italiana e civile alla trasformazione digitale, che evitando di subirne gli effetti tecnocratici, possa valorizzarne le immense potenzialità nella cura del nostro territorio, per ampliare la diffusione e la notorietà del valore delle nostre radici e del nostro paesaggio, per rendere evidente e nota nell’esperienza come nella comunicazione l’unicità della nostra cultura e del nostro Paese. È un passaggio culturale cui non può esimersi il sistema formativo e scolastico.

Un’agenda nazionale potrebbe partire, allora, dall’assumere le migliori prassi italiane, diffonderle e conoscerle, nonché dall’approfondire e mutuare le esperienze internazionali in materia per applicarle in modo diffuso, ma organico e integrato.

È un piano che chiede certamente risorse finanziarie – priorità in cui collocare almeno una parte dei 20 miliardi di risparmi sugli sprechi suggeriti e già in parte ottenuti dal piano Cottarelli – ma chiede soprattutto impegno e pensiero, braccia e intelligenze delle persone singole e aggregate, perché molto si può fare, nonostante le apparenze, anche con poco.

 

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