Politici e bene comune

Napolitano Bagnasco

Nell’ultimo consiglio permanente della Cei, il card. Bagnasco ha disegnato una serie di urgenze della società italiana. Ha dichiarato di sognare una generazione di cattolici capaci di “stare dentro” il travaglio della cultura odierna, offrendo il meglio di sé stessi per la cosa pubblica. Una prospettiva diversa dal semplice auspicio di avere nuovi politici cattolici, come invece tanti media hanno riportato.

Il senso autentico dell’auspicio formulato dal card. Bagnasco va ricercato in quanto precede quel suo passaggio riguardo ad «una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentano la cosa pubblica come importante e alta»: cioè nel gesto della storica visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma; nel riferimento al Natale, in cui un Dio-Bambino viene senza armi e senza forza; nell’esortazione a trovare modalità nuove di attenzione verso quanti non credono, perché «anche le persone che si ritengono agnostiche o atee devono stare a cuore ai credenti» e perché «nessuno debba sentirsi spaventato dalla nostra concreta attenzione, ma neppure debba sentirsi ignorato».

 

Il presidente della Cei ha indicato delle concrete piste di azione per cercare una via di uscita dalla crisi odierna della politica, come la necessità di una vera e propria «riconciliazione» tra le varie parti in gioco, di un «disarmo degli animi». La gente è veramente stanca di assistere a un confronto politico ridotto a rissa e a denigrazione reciproca. Il «conflitto di visioni» non deve produrre un «conflitto di persone» e di formazioni politiche. Oggi più che mai occorre mettere in campo tecniche di «mitigazione» (se non di risoluzione) dei conflitti, integrandole con un’altra tecnica: con la capacità di “amare”, cioè di comprendere e rispettare nella loro integralità le opzioni politiche alternative. Il card. Bagnasco cita una espressione significativa di Benedetto XVI, laddove il papa accosta l’inquinamento atmosferico a quello dello spirito «che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra noi, a non guardarci in faccia».

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