Poesia di un atto d’amore

Esaltata e stroncata dalla critica, scomoda e incompresa, Ada Negri ha vissuto intensamente il suo viaggio a cavallo di due secoli.
Ada Negri

A Lodi, la casa dove crebbe la poetessa “Dinin” Ada Negri è incastonata, muta testimone, fra i palazzi della via che dalla enigmatica piazza Vittoria porta alla chiesa delle Grazie e alla fatidica “montada”. Era la ripida scalinata che riaccompagnava a casa la madre operaia, distrutta dalla giornata trascorsa al lanificio, ma pronta a lottare e a trasformare la smorfia dolorosa in sorriso per la propria figlioletta, unica speranza.

Da lì, prima di incrociare lo storico ponte sull’Adda, ecco un ennesimo vivo incontro con la poetessa, quasi palpabile, incrociando con un brivido lo sguardo de «la mia/ Madonna, quella che adorai, che mia/ soltanto fu…/ chiusa in un manto d’ermellino, bianca/ imperatrice, al divin Figlio serva», nella misteriosa chiesa di San Francesco, da lei sommessamente celebrata e oggi custode silenziosa e severa del sonno pacificato della poetessa.

 

Esaltata e poi stroncata dalla critica, trascurata dalle antologie, scomoda e incompresa, relegata ad un mondo letterario “di nicchia”, Ada Negri (Lodi 1870 – Milano 1945) ha vissuto intensamente il suo viaggio a cavallo di due secoli, regalando momenti poetici solenni e preziosissimi. Ma la lettura e l’approfondimento dell’opera di questa donna sono una continua sorpresa, come il suo rileggere umilmente l’esistenza all’ombra di Dio.

Figlia della terra lombarda, cresciuta in dignitosa povertà, sognò e lottò per un futuro diverso da quello delle operaie della sua amata città. Per lei la madre volle, a costo di grandi sacrifici, l’iscrizione alla Scuola Normale. E Ada divenne maestra.

 

Nella turbolenza di fine Ottocento, si stavano preparando rivoluzioni culturali e sociali e lei, attenta e sensibile, rispose ai provvidi incoraggiamenti di chi aveva intuito «la saggezza e la dignità interiore della giovane ed il precoce talento»: la poesia che le sgorgava impetuosa divenne denuncia dello sfruttamento e dell’oppressione della povera gente con cui ella condivideva tutto.

Era il 1888 quando il settimanale di Lodi pubblicava la sua prima poesia. Era solo l’inizio di un successo travolgente che la portò, a 22 anni, alla prima pubblicazione Fatalità, per le edizioni Treves, a cui seguirà Tempeste e al passaggio, per decreto ministeriale, al ruolo di professoressa ad honorem nella scuola superiore di Milano.

A 24 anni riceve il prestigioso premio Giannina Milli e, dopo altri significativi riconoscimenti, sarà la prima donna ad essere ammessa all’Accademia d’Italia. Onori accolti con umiltà e grande dignità, che non scalfirono la personale ricerca di libertà e autonomia di pensiero e vita.

Davvero nuova era la sua poetica, prettamente ispirata da intenti ideali vivacissimi, tanto da venire affiancata a Verga e De Amicis. In Ada Negri poetessa, ma anche efficace ed elegante prosatrice, sfocia la denuncia della condizione della donna, lotta impari, riscatto a lungo desiderato e atteso.

Il suo cuore si apre sul mondo, accoglie e si fa voce grido e sospiro della debolezza umana, del coraggio e dell’anelito spirituale, che lei legge, interpreta e traduce. Ada Negri incanta e consola. I versi prorompono e dilagano tracciando volti e gesti, cogliendo eroismi e viltà. E scrive di sé stessa, convinta: «Ama l’opera tua, che unicamente ti rassomiglia/ per divine tracce note a te sola./ Unicamente puoi far vero in essa il sogno, e sogno il vero,/ e perdonare al tuo nemico, e rendere bene per male,/ e accogliere in un grido tutti i cuori viventi entro il tuo cuore./ Ama l’opera tua, ch’è solo amore».

 

Nella produzione poetica sempre più matura e consapevole, nelle raccolte di prosa così apprezzate, si snoda anche il percorso umano e familiare della poetessa, sposa delusa e madre tenerissima. Presi per mano dalle sue pagine, si attraversano squarci sociali ed eventi lontani e drammatici, ma le emozioni sono attuali e vicine alla sensibilità odierna.

Per poi avere conferma di ciò che sempre in lei ha mosso i passi e il penare e i sogni e la lotta: l’amore per un Dio mai abbandonato, sempre cercato e riscoperto nella propria vita vicino ai vinti, agli ultimi, al suo patire e alla sua ricerca di redenzione e di amorevole condivisione.

«Non seppi dirti quant’io t’amo, Dio/ nel quale credo, Dio che sei la vita/ vivente, e quella già vissuta e quella/ ch’è da viver più oltre: oltre i confini/ dei mondi, e dove non esiste il tempo./ Non seppi; – ma a Te nulla occulto resta/ di ciò che tace nel profondo. Ogni atto/ di vita, in me, fu amore. Ed io credetti/ fosse per l’uomo, o l’opera, o la patria/ terrena, o i nati dal mio saldo ceppo,/ o i fior, le piante, i frutti che dal sole/ hanno sostanza, nutrimento e luce;/ ma fu amore di Te, che in ogni cosa/ e creatura sei presente».

 In questo tempo improntato alla superficialità, la poesia è ancora strumento di riscatto e di cammino e può farci bene il desiderio di riscoprire e amare questa donna e artista, così vicina e così umana. Profonda.

 

Per approfondire:

– a cura di E. Cazzulani, Opere scelte, Il Pomerio

– a cura di D. Rondoni, Ada Negri Mia giovinezza, BUR

– M. Pea, Ada Negri, Mondadori

– V. Schilirò, L’itinerario spirituale di Ada Negri, SEI

– http://www.maldura.unipd.it

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