Il “piccolo miracolo” di Lisbona

I dati della ripresa economica e della crescita del Paese lusitano elogiati dal Fmi, che aveva imposto la camicia di forza, assieme a Bce e Ue nel 2011.

 

Dieci giorni fa David Lipton, primo vice direttore del Fondo monetario internazionale, si trovava a Lisbona, dove ha pronunciato la conferenza Portugal: Reform and Growth Within the Euro Area (Portogallo: riforma e crescita all’interno dell’area dell’euro).  Certo, con questo titolo non poteva dar l’impressione di esserci andato per tirare le orecchie al governo, tutto al contrario. Alcuni passaggi del suo discorso sono stati riportati nella stampa portoghese e internazionale. Un esempio: «In un periodo di elevata incertezza e rischio, questo Paese ha dimostrato che c’è un modo per superare le differenze, per affrontare le sfide comuni». O ancora: «Una lezione per il resto d’Europa e anche per il mondo»… Una tale laudatio sembra opportuna, almeno per contrastare il diffuso pregiudizio nord-europeo che pesa sui Paesi meridionali, i pigs (maiali in inglese), cioè Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, i quali approfitterebbero dello sforzo e della laboriosità dei settentrionali. C’è pure chi ha segnalato l’influenza di questo pregiudizio sul referendum della Brexit, visto che i promotori dell’uscita non avevano altro programma che lo slogan «l’Europa ci deruba», e con ciò convinsero non pochi votanti che il resto degli europei viveva gravando sulle spalle delle spese britanniche.

Ma torniamo a Lipton. Le cifre del Portogallo parlano da sole. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 16% nel 2013 al 6,7% di oggi, il livello più basso dal 2004, compreso un brusco calo della disoccupazione di lunga durata e «un’impressionante riduzione della disoccupazione giovanile, che non è più ben al di sopra della media Ue», ha detto Lipton. Il deficit fiscale è pure sceso dall’11% del Pil nel 2010 allo 0,5% nel 2018, e il bilancio primario (che non tiene conto degli interessi sul debito) sarà il più alto dal 1992. Questo miglioramento dello squilibrio nei conti pubblici ha permesso che il debito pubblico passasse dal 133% del Pil al 124%, secondo gli ultimi dati forniti da Eurostat. Si ricordi, tra l’altro, che il Portogallo nel 2011 ha dovuto sollecitare il salvataggio finanziario per evitare il default. Otto anni dopo il Paese ha restituito tutto in anticipo, il che ha contribuito senz’altro ai complimenti ora ricevuti.

Il merito di un tale miglioramento non è da attribuire solo all’attuale governo socialista, presieduto dal 2015 da António Costa, che certamente si è dato da fare e non ha dimenticando le politiche sociali. Le misure adottate in precedenza, durante gli anni duri della crisi, hanno aperto la strada all’attuale situazione. Tra il 2010 e il 2015, sotto il governo socialdemocratico di Passos Coelho, una forte riduzione nei costi del lavoro ha avuto un grande impatto nelle esportazioni, passando dal 29% del Pil nel 2010 al 43,6% nel 2018, il che è stato legato anche a fattori esterni, come la crescita economica dei suoi principali soci commerciali, . Ciò spiega solo una parte del successo portoghese. Un altro fattore è stato il turismo, che raggiunge il 17,3% del Pil. L’anno scorso hanno scelto il Portogallo 12,8 milioni di turisti, quando gli abitanti indigeni sono 10,2 milioni.

I portoghesi comunque sanno fare autocritica e vedere le cose con un certo scetticismo. Valga per tutti questo commento di una lettrice a un articolo sull’argomento pubblicato da Jornal Sol:

«Quando il becchino elogia il morto, è grato per gli affari che gli ha permesso di fare. Un elogio del Fmi è un segno che il Portogallo non ha lasciato gli ormeggi che l’avevano impoverito così tanto».

 

 

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