Perché non c’è speranza per la letteratura in (Italia)

Scusate, scrivo (Italia) tra parentesi perché sono certo che culturalmente non esiste, e che aveva ragione Metternich, a parte il malanimo, quando definiva il Paese una pura espressione geografica. Passiamo alla letteratura. Oggi a intendersene sufficientemente o non indecorosamente sono poche migliaia di persone, che non contano, dalle quali escludo anche le migliaia di intellettuali di regime universitario o editoriale-massmediale, che anche se teoricamente se ne intendono hanno purtroppo venduto l’anima al diavolo (carriera, soldi, onori ecc.) e perciò non sono in diritto culturale di giudicare nulla. Le poche migliaia di persone non fanno il pubblico editoriale. Il pubblico editoriale, in formato pollaio, compra a centinaia di migliaia di copie il bestseller del momento, scritto da un Dj che ha 1′(unica) onestà di ammettere che ha successo perché non è originale (il suo protagonista ci racconta alla leggera i suoi incontri erotici e i suoi – letterali – mal di pancia), mentre il suo grande editore non ha l’onestà culturale di non pubblicarlo. Se un pubblico bevi-bevi si accontenta di questo, dimostrando di essere oggi più di ieri un volgo disperso che nome non ha, e anzi lo promuove, vuol dire che non c’è nessuna speranza per la letteratura in (Italia) se non a livello catacombale, da samizdat o poco più. Quanto a me, poiché la vita è breve e la morte è certa, tirem innanz. Giovanni Casoli aspetta le vostre risposte all’indirizzo segr.rivista@cittanuova. it (con oggetto letteratura).

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