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Per il bene dei nostri mari

di Mariagrazia Baroni

- Fonte: Città Nuova

Pratiche di pesca illegali in Adriatico, molto sfruttato come tutto il Mediterraneo. Le zone di restrizione alla pesca, le riserve marine in acque internazionali la soluzione. L’ultima nel Canale di Otranto dopo Fossa di Pomo. Intervista a Domitillla Senni, presidente dell’ente promotore MedReAct.

Mare (Foto Pexels – Kellie Churchman )

Un mare tra i più sfruttati al mondo, insieme al Mediterraneo, per risorse ittiche e costantemente minacciato per opera dell’uomo. Parliamo dell’ Adriatico, che ospita il 49% delle specie di tutto il Mare Nostrum. Una situazione aggravata anche dalla pesca di frodo che impoverisce gli stock ittici, gli habitat e gli ecosistemi di cui invece il nostro Mediterraneo, nel suo complesso, è molto ricco. Un fenomeno sempre attuale nei nostri mari come attesta, ad esempio, la notizia ad inizio anno del sequestro ad opera della Guardia Costiera di 20kg di pesce serra con la tecnica della pesca a strappo, o a settembre di 150Kg di tonno rosso ad Otranto. E così in tante altre porzioni del Mediterraneo. Pratiche che richiedono un cambio di mentalità negli operatori, non solo di monitoraggio.

Per tutte queste ragioni, nella zona del Canale di Otranto, dopo anni di negoziati la Commissione generale della pesca del Mediterrano (CGPM), ha istituito nel novembre 2024 la più ampia riserva marina dell’Adriatico, dall’acronimo FRA (fisheries restrect area, zona di restrizione di pesca ndr ) a 12 miglia dalla costa, fra Italia e Albania. Un modello importante di salvaguardia della biodiversità e degli ecosostemi. Promotori l’Adriatic Ricovery project (progetto coordinato da MedReAct in collaborazione con la Stanford University, il Politecnico delle Marche, Legambiente e Marevivo) e la Onlus MedReaAct, che nell’Adriatico ha anche ralizzato la FRA di Fossa di Pomo tra Italia e Croazia. Ciò pone oggi l’Adriatico all’avanguardia. Di tutto questo ne parliamo proprio con la presidente di MedReAct, Domitilla Senni, già direttore di Greenpeace Italia, che ha gestito lo sviluppo della coalizione di Ocean 2012 in vari Paesi europei.

Dott.ssa Senni, data la sua lunga esperienza, partirei da una serie di notizie che hanno coinvolto nel tempo la zone di Otranto, ma che riguardano anche tante zone del Mediterraneo: la pesca illegale. Le chiedo: che tipo di piaga è la pesca di frodo?

«La pesca illegale è a livello globale una delle gravissime problematiche nei mari perché spesso avviene in alto mare, zone difficili da controllare e il Mediterraneo ne è afflitto da sempre. E qui, soprattutto negli ultimi anni, le risorse delle autorità di controllo (Guardia costiera, di finanza, ndr.) sono state indirizzate sempre più verso il controllo del traffico di migranti, andando a tagliare su il controllo delle attività di pesca illegale. Questo è un problema perché in porto si possono condurre delle attività di controllo, ma se non si pattuglia il mare è difficile eradicare questa pratica che ha anche un atteggiamento culturale. La pesca di frodo è una problematica complessa che inficia tutti i sistemi di gestione delle risorse marine, anche chi fa ricerca e valuta lo stato degli stock : non è facile avere dati che possano tener conto anche dei prelievi non dichiarati. Inoltre ciò crea una competizione sleale. Molto del pescato che noi ci ritroviamo sulle nostre tavole, spesso proviene da questo tipo di attività: quello sottotaglia per esempio. La Guardia Costiera conduce operazioni importanti; quando facciamo segnalazioni intervengono, però bisogna insistere, far capire agli operatori del settore che se continuano a condurre queste attività di pesca illegale, poi avranno delle sanzioni tali che renderanno poco economico continuare a violare la legge».

L’Adriatico e in generale il Mediterraneo sono bacini tra i più sfruttati al mondo. Perché?

«Sì, un triste primato. Fino a due o tre anni fa addirittura il Mediterraneo era il più sfruttato del Pianeta, adesso pare che il primato sia cinese. Perché siamo arrivati a questa situazione? Le ragioni sono in decenni di mala gestione della pesca sia a livello europeo e che non europeo. Negli anni ’70, infatti, si era investito con contributi, al potenziamento delle flotte e delle tecniche di pesca quali esempio lo strascico con motorizzazione etc. Ciò ha creato una sovraccapacità di pesca, ma le misure di accompagnamento per gestirla e controllarla non sono realizzate, provocando un impoverimento del Mediterraneo. Non solo: pratiche come lo strascico catturano anche specie non commerciali che possono finire nei mercati a prezzi irrisori tipo alcune specie di squali che hanno però grande valore ecologico.

Successivamente, la Commissione europea ha lavorato moltissimo per migliorare la gestione della pesca, ma inizialmente solo nel Nord Europa, lasciando il Mediterraneo un po’ nell’ombra. Per questo è nata anche la nostra organizzazione MedReAct. Dal 2017, però, la Commissione europea, è intervenuta in maniera molto incisiva attraverso la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo, che è l’organismo regionale della FAO che gestisce la pesca in tutto il bacino. La situazione è migliorata, anche per alcuni stock, ma c’è ancora moltissimo da fare sia sul versante europeo che non europeo. I Paesi terzi, infatti, oggi si stanno potenziando anche loro, divenendo dei competitors in un certo senso, c’è un trasferimento di conoscenze, di tecnologie, di pescherecci, di equipaggi, ma le risorse rimangono sempre quelle e gli stock sono condivisi. Pensiamo alla “guerra del pesce” nell’area del Mammellone tra Sicilia e Tunisia o ai sequestri dei pescherecci di Mazzara in Libia. C’è bisogno dell’impegno di tutti per risolvere la situazione, una presa di responsabilità soprattutto da parte del settore».

Le riserve marine (FRA) e l’ultima quella del Canale di Otranto, sono qualcosa di innovativo per proteggere ecostistemi e stock ittici. Da profani, penseremmo a zone raggiungibili. Nulla di tutto ciò…

«Corretto, perché si pensa alle aree marine protette, cioè alle piccole aree sotto costa in cui ci si arriva anche a nuoto. No, è qualcosa di diverso e su scala completamente differente. Le FRA sono uno strumento di gestione istituito dalla CGCM, che citavo prima, che è l’organismo della FAO per tutelare ecosistemi sensibili o habitat importanti per le specie ittiche che possono essere aree di nursery, dove queste specie crescono, o di riproduzione. Tutelando queste zone si riesce a contribuire al risanamento degli stock. La CGPM ne ha istituite diverse, ma fino al 2005 erano solo su carta. Nel 2016 siamo intervenuti con MedReAct ed abbiamo cominciato a lavorare sull’Adriatico, identificando la prima area oggi FRA di Fossa di Pomo, tra Abruzzo e Croazia, su cui da anni i ricercatori croati e italiani chiedevano misure di tutela, perché è la zona più importante di tutto l’Adriatico, e tra le maggiori di tutto il Mediterraneo, di accrescimento per lo scampo. Ed è anche una zona importante per il nasello. Due specie fondamentali per la pesca, di alto valore commerciale. Il 30% di tutte le catture dell’Adriatico sia italiane che croate provenivano da lì. Dalla sua istituzione, nel giro di un paio di anni, questa FRA ha cominciato a produrre un aumento della biomassa delle specie sopraccitate, ma anche di altre specie che erano associate a questi habitat, nonché si è assistitio al ritorno degli squali, animale considerato indicatore della salute del mare. Questa FRA di Fossa di Pomo è diventata come un motore che sta ripopolando il mare. Ne parliamo nel documentario “The Good Story” attraverso la voce dei pescatori, dei ricercatori perché questo strumento possa essere replicato in larga scala in tutto il Mediterraneo».

E poi è stata la volta della FRA del Canale di Otranto…

«La seconda proposta è stata quella per il Canale di Otranto. Una zona molto grande, che si sviluppa sempre in acque internazionali, tra l’Italia e l’Albania. Ci sono voluti 6 anni. Questa FRA, come quella di Pomo, ha una zona centrale chiusa alla pesca che tocca i fondali. Ha poi una zona intorno chiamata buffer, zona cuscino, dove la pesca è molto ridotta, possibile solo con un’autorizzazione e solo alcuni giorni a settimana ecc. Sono zone dove sono previsti controlli e questo è molto importante. La FRA di Pomo è controllata molto bene, sia dall’Italia ma anche moltissimo dalla Croazia che lo considera una sorta di “monumento”. La FRA di Otranto, istituita a novembre, ha la zona centrale di chiusura più grande di tutto l’Adriatico di 1900Km2. Secondo la Commissione Europea, adesso l’Adriatico, grazie a queste nuove misure, ha la superficie dei fondali protetti più estesa di tutto il Mediterraneo. E questa è una cosa molto importante, perché da mare flagellato dalla sovrapesca, sta diventando un laboratorio che può offrire indicazioni anche altrove. Come MedReAct, ora stiamo lavorando moltissimo sul Mediterraneo occidentale, soprattutto nel Golfo del Leone, ma anche nel canale di Sicilia nell’area del Mammellone di cui parlavo prima che abbiamo proposto di trasformare in una FRA per metterla sotto un regime condiviso di regole che si applichino a tutte le flotte e risolvere anche quello che è stata per 60 anni la “ guerra del pesce” ».

A proposito della FRA di Otranto, mi può parlare del corallo bambù presente nel Canale?

«Sì, l’isidella elongata, una gorgonia in realtà, anche se si chiama corallo bambù. Una specie un tempo molto comune, e che, purtroppo, proprio a casua dell’attività dello strascico che porta via tutto, è diventata sempre più rara, tanto da divenire un ecosistema vulnerabile marino. Erano state individuate delle colonie molto importanti dai ricercatori. Una campagna di ricerca l’anno scorso ha confermato che in effetti l’isidella ancora c’è nel Canale. In qualche modo si è salvata e ciò è stata un’ulteriore conferma della necessità di tutelare l’area: essa offre rifugio a varie specie, sia per la deposizione delle uova, sia per l’accrescimento, e quindi è è una specie che ha un beneficio diretto anche per la pesca».

Nella creazione di queste FRA il beneficio sembra essere di tutti…

«Sì, è veramente per tutti, non solo per la biodiversità ma anche per chi vuole viverci col mestiere. Ed è anche un segnale di speranza secondo me, perché dimostra, come per Pomo, che il Mediterraneo ancora, nonostante tutte le aggressioni che subisce, nonostante i mutamenti in corso, ha ancora un grosso potenziale di recupero. Se solo lo si lascia riposare, se si rimuovono quelle fonti di impatto così devastanti, il mare recupera e se recupera, reagisce meglio, ed è più forte anche nei confronti dei cambiamenti climatici».

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