Pedofilia e clericalismo. Come uscirne?

Seconda giornata dell'incontro sulla protezione dei minori. Una grande e atroce ferita che, però, sta aprendo ad una visione sempre più collegiale e sinodale della Chiesa

«Non c’è nulla di più urgente nella Chiesa ‒ ha detto il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, nell’odierna conferenza stampa ‒ che affrontare la questione della protezione dei minori nella Chiesa».

Da dove cominciare? Un punto fondamentale è l’ascolto. Per questo l’incontro in Vaticano si è aperto con l’ascolto di 5 video‒testimonianze di tutti i continenti: per aver chiaro la dimensione planetaria e devastante del problema.

«Dal racconto delle vittime di abusi ‒ ha proseguito il cardinale Blase Joseph Cupich, arcivescovo di Chicago ‒ impariamo sempre qualcosa di nuovo».

Cosa emerge dalle storie? «La prima cosa che hanno fatto ‒ racconta una vittima del Cile ‒ è stata trattarmi da bugiardo, voltarmi le spalle e dirmi che io, e altri, eravamo nemici della Chiesa». Un atteggiamento che indigna. Non solo il testimone cileno è una vittima, ha trovato il coraggio di parlare ma si è trovato di fronte ad una nuova ipocrisia: la mancanza di un vero ascolto. «Vi chiedo ‒ ha concluso ‒ che coloro che vogliono continuare a coprire, se ne vadano dalla Chiesa per lasciare il posto a quelli che invece vogliono creare una Chiesa nuova».

Una donna racconta di aver avuto dall’età di 15 anni relazioni sessuali con un prete da cui dipendeva economicamente. Per tre volte ha abortito. Ogni volta che si rifiutava di avere rapporti sessuali, la relazione è durata 13 anni, veniva picchiata. «Bisogna dire ‒ conclude ‒ che amare, essenzialmente è amare gratuitamente». L’amore possessivo, violento, distruttivo è l’opposto di chiunque voglia essere cristiano. Perché il problema, spesso, non è essere sacerdoti o religiosi, ma essere semplicemente dei veri cristiani.

Un altro elemento che ricorre nelle storie di un prete molestato e di un uomo asiatico è l’omertà. «Ogni volta che ho parlato con i Provinciali e con i Superiori maggiori, questi hanno regolarmente coperto il problema, coperto gli abusatori e questo a volte mi uccide. (…) Non sono capaci di fermare gli abusatori, a causa delle amicizie tra di loro». «Se voi volete ‒ conclude ‒ salvare la Chiesa, dobbiamo darci una mossa e indicare gli autori con nome e cognome». È accaduto e accade ancora che in nome di un’amicizia si coprano gli abusatori, come se la verità non rendesse liberi. Con la conseguenza di restare per anni irretiti dentro schemi comportamentali e visioni anti evangeliche. Come se parlando, denunciando, s’infangasse la diocesi, la congregazione, l’associazione, il movimento ecclesiale a cui si appartiene. Prima dei bambini e delle vittime, viene l’istituzione.

Concetto su cui è tornato stamane cardinal Blase Joseph Cupich nel suo intervento legandolo alla perdita di credibilità nella Chiesa e nei suoi pastori. «È la fonte ‒ ha detto ‒ della crescente sfiducia nella nostra leadership, per non parlare dell’oltraggio alla nostra gente».

Ma quali sono i fattori di uno scandalo di tale portata nella Chiesa? Il 19 marzo 2010 papa Benedetto XVI così scriveva nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda: «Tra i fattori che possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona».

E ieri il cardinale Ruben Salazar Gomez, arcivescovo di Bogotà e presidente del Celam ha ben evidenziato come il nocciolo del fenomeno degli abusi non sia solo frutto di «deviazioni o patologie sessuali», ma ci sia una radice più profonda «il clericalismo», inteso come «travisamento del ministero convertito in mezzo per imporre la forza, per violare la coscienza e i corpi dei più deboli».

Come uscirne? Alcuni suggerimenti li ha forniti ieri Charles Scicluna, arcivescovo di Malta, segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della Fede. La prima fase è la segnalazione di atti di cattiva condotta sessuale a contatti di pubblico dominio, con protocolli stabiliti, nel rispetto delle leggi civili e nazionali. Segue il rispetto delle procedure canoniche, la collaborazione con la giustizia civile, e il sempre valido detto che «prevenire è meglio che curare», valutando e scegliendo con cura i candidati al sacerdozio.

È una grande e atroce ferita che, però, sta aprendo ad una visione sempre più collegiale e sinodale della Chiesa. Come se la conversione sempre necessaria per ogni singolo, debba ora transitare anche da una conversione collettiva. Come sottolinea anche il cardinal Cupich: «Solo una visione sinodale, fondata sul discernimento, conversione e riforma ad ogni livello, può portare nella Chiesa un’azione globale in difesa dei più deboli in mezzo a noi». E «oltre a difendere la giustizia – spiega nel suo intervento il cardinale indiano Oswald Gracias – una Chiesa collegiale rappresenta la guarigione», raggiungendo le vittime degli abusi e le comunità la cui fiducia è stata «tradita o severamente messa alla prova».

Prosegue l’incontro fino a domenica 24 febbraio con l’auspicio che «il Santo popolo di Dio ‒ aveva detto ieri il papa nel suo saluto iniziale ‒ ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre».

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