Paolo Conconi: «L’universo è relazione»

I progetti a cui ha lavorato il noto astrofisico italiano, dal telescopio Ruths, a Galileo, al Vlt. Le grandi scoperte e le sue impressioni nello scrutare il cielo

Dal parcheggio delle auto, si prende un sentiero in salita, le torce ci indicano il percorso di poche centinaia di metri e si giunge nell’edificio dal grande cupolone dell’osservatorio di Brera-Merate dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). Siamo nell’hinterland di Milano, qui cinquant’anni nasceva il telescopio «Ruths» (nome della società costruttrice di Genova) un progetto modello allora tra i più grandi d’Europa. Un’idea innovativa perché lo specchio del telescopio era in metallo invece che in vetro. Trent’anni dopo Ruths fu rinnovato per renderlo più efficace nelle osservazioni celesti nel campo della chimica delle stelle al fine di coglierne la natura. E al posto dello specchio metallico, corroso dal tempo, ne veniva installato uno da 1,5 metri di vetro grazie al contributo della Fondazione Cariplo.

conconi

Siamo con Paolo Conconi astrofisico arrivato a Merate all’inizio del 1970 per preparare la tesi di laurea in matematica. Da sempre appassionato di astronomia dopo la laurea ha continuato a lavorare a Merate per quasi 40 anni. «Il telescopio che ha compiuto 50 anni è stato il primo telescopio con specchio metallico con una qualità ottica del tutto simile a quella degli specchi realizzati in vetro. Nel 2007 ho partecipato alla filiera che ha portato all’individuazione di uno degli oggetti più distanti mai avvistati, a 13,2 miliardi di anni luce dalla Terra. Un oggetto molto energetico, più dell’esplosione di una supernova: qualcosa che, nel giro di un giorno, emette la stessa quantità di energia di una stella in 10 miliardi di anni». Conconi ha partecipato alla realizzazione del telescopio nazionale “Galileo”, che si trova sull’isola di La Palma, alle Canarie, ed è il più importante strumento ottico della comunità astronomica italiana e in Cile dove è stato coinvolto nella realizzazione di alcuni strumenti per il Very large telescope (Vlt), il sistema di quattro telescopi dell’Osservatorio del Paranal. Il progetto è gestito dall’Eso (European southern observatory) e sono coinvolti 17 Paesi. «Ci permetterà di studiare le prime epoche dell’universo: quando sono nate le prime galassie, come si sono formate, come si sono organizzate in strutture. Andremo a cercare biomarcatori nelle atmosfere di sistemi planetari – come il metano -: ovvero la ricerca della vita su altri pianeti. E poi potremo osservare in maniera combinata eventi catastrofici, ovvero che coinvolgono grandi energie – come lo scontro di due buchi neri. Con E-elt potremo anche misurare direttamente l’accelerazione dell’espansione dell’universo, impresa difficile perché si tratta di misurare un aumento nel tempo della velocità di allontanamento delle galassie lontane: per una galassie molto lontana  l’aumento di velocità è di soli 10 cm/s ogni 10 anni. Infine, potremo affrontare anche questioni di fisica fondamentale: oggi supponiamo che le costanti della fisica siano invariabili in qualunque punto dell’universo. Un’osservazione finora inedita come quella permessa da E-elt potrebbe mettere molto in discussione».

Night Sky, Milky Way, Meteor, Forest

Quali scoperte sono state fatte da questo osservatorio?

Le scoperte oggi sono il frutto del lavoro di tante persone che uniscono competenze diverse. Più che di scoperte si deve parlare del fatto che sono stati portati a termine molti progetti che hanno dato un contributo alla conoscenza più dettagliata dell’universo. Sappiamo ad esempio che per i primi 380 mila anni successivi al Big Bang l’universo è stato opaco alla luce. Duecento milioni di anni dopo sono arrivate le prime stelle, che chiamiamo “di popolazione 3”. Queste stelle non sono mai state osservate, perché sono molto lontane. Nessun telescopio sulla Terra ne ha mai vista una. Scoprire che caratteristiche avevano sarebbe molto interessante. È uno degli obiettivi per il telescopio James Webb, che dovrebbe essere posto in orbita intorno alla Terra nel maggio 2020. Ha un diametro di 6,5 metri e osserva nel campo dell’infrarosso: per questo potrebbe vedere le prime stelle che si sono formate, sia pur non direttamente, ma attraverso una “lente gravitazionale” generata da un cluster di galassie. Gli obiettivi scientifici di questo tipo di osservazione riguardano anche l’insieme delle galassie, la loro formazione, la nascita di sistemi planetari e pianeti con atmosfera. E dunque la possibilità di trovare vita.

Quale la sua impressione nello scrutare la volta celeste?

Per me l’emozione più grande nel guardare il cielo la provo quando mi trovo in un luogo limpido e senza luci, come può essere un deserto o una zona in montagna. Ricordo il mio primo viaggio in Cile presso la stazione osservativa di La Silla dell’Eso. L’emozione nel vedere un cielo scurissimo e pieno di stelle e la luce di Venere che proiettava la mia ombra sul muro della cupola. Sempre ho provato un’attrazione per ciò che è infinito, grande o piccolo che sia, per me coincidente col bello. Sentirmi portato fuori dal mio io angusto è stato il motivo per cui mi sono innamorato dei luoghi deserti (gli osservatori in genere sono situati in cima ad una montagna e possibilmente in posti dove non piove mai, come può essere un deserto), luoghi dove, sei essenzialmente solo con te stesso e puoi più facilmente approfondire il tuo rapporto con l’Assoluto. Ora se dovessi descrivere con una sola parola l’Universo che ci circonda direi: «Relazione».

 

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