Ora tocca a te!

Giulio è persona speciale che si commuove, anzi rimane senza fiato, di fronte all’alba galeotta di Budapest, che l’ha svegliato di sorpresa con il suo richiamo di colori. E lo immagini, con il suo bagaglio di esperienza e professionalità, fare quello che di solito sono i respiri di un giovane, di un innamorato, di un artista: stupirsi, sentirsi richiamato alla bellezza. Davvero l’animo umano non perde il proprio smalto, se si abbevera alla luce della vita. È lui che vuole raccontare un sogno ai compagni di cammino, ma lo fa con il garbo e con la riservatezza che, si capisce, gli è connaturata. Semina il velo di un sogno, ma prima, lo dice apertamente, deve tornare ai tempi belli della vita con Adriana. Felice Allora ero ancora studente universitario. Con Adriana, una ragazza del mio paese che poi divenne mia moglie, fui invitato ad una Mariapoli in una piccola città delle Dolomiti: mi colpirono in particolare le tante attenzioni che tutti avevano nei miei confronti e mi veniva spontaneo ricambiarle. Erano strane e simpatiche quelle persone, ma quella mia prima esperienza non andò oltre. Non ero riuscito a cogliere quel di più che avevano cercato di trasmettermi e che – ora lo capisco – avrebbe dato luce ad alcuni valori in cui già credevo: il rispetto degli altri, l’ascolto attento e l’aiuto al prossimo. Qualche anno più tardi accompagnai Adriana ad una seconda Mariapoli, questa volta tra le montagne del Trentino. Eravamo sposati da un paio d’anni e, con noi, c’era anche Alberto, nostro figlio, che aveva solo pochi mesi. Fu un disastro: era estate, eravamo sotto una grande tenda e faceva tanto caldo; le riunioni mi sembravano interminabili, si parlava, parlava e mi pareva che si ripetessero sempre le stesse cose, discorsi che io continuavo a non capire o a non voler capire. Alla fine scoppiai e con foga dissi ad Adriana che ero stanco di tutte quelle chiacchiere, che quello non era un ambiente adatto a me e che me ne sarei andato su per la montagna a camminare. Fu forse il primo grande dolore che diedi a mia moglie. Ricordo che, prima di partire, lei mi venne incontro e posando con dolcezza la sua mano sulla mia mi disse soltanto: Giulio, qui amano la puntualità, cerca di essere a cena per tempo. Da allora solo raramente partecipai a riunioni promosse dal movimento, ma non avevo nulla in contrario a che Adriana le frequentasse. Rispettavo queste sue esigenze e, con piacere, notavo in lei crescere sempre più quelle doti di serenità interiore, di gioia di vivere, di attenzione e disponibilità verso gli altri (in particolare verso di me e verso Alberto) che mi avevano conquistato fin dal nostro primo incontro. Io avevo invece altri progetti per me e per la nostra famiglia, avevo ben chiaro cosa volevo fare e dove volevo arrivare. Avevo una grande voglia di mettere a frutto i miei studi, di dedicarmi interamente al lavoro, di migliorare le mie conoscenze professionali, di emergere nell’azienda in cui prestavo la mia attività, di conseguire una certa tranquillità economica.Vedovo Giulio racconta la sua bella intesa con Adriana, rinvigorita dalle prove superate insieme. Ricorda di lei lo sguardo limpido e luminoso, da bambina incantata dalla vita, che tanto lo aveva colpito e che non passava inosservato a chi lo incontrava. Giulio lo ammette solo con una leggera inflessione della voce: quegli occhi gli sono scolpiti dentro e sono il faro di quel suo remare nel mare calmo o in tempesta della vita. Fino a quando la vita rimette in gioco tutto, violentemente, a modo suo… Un mattino ricevetti in ufficio una telefonata di Adriana: Giulio, c’è qualcosa che non va, non sto bene. Capii che si trattava di una cosa importante, raramente mia moglie mi chiamava al lavoro: temeva di disturbarmi. Tornai subito a casa, ci recammo dal medico. Prescrizione di ricovero immediato. Analisi su analisi, indagini su indagini e poi l’intervento chirurgico: devastante. Dopo un breve periodo di convalescenza, quasi due anni di pesanti cicli di terapie, frequenti ricoveri, nuovi interventi. Tante speranze, tutte sistematicamente deluse. Lunghe faticose attese nelle sale, ripetute disfunzioni organizzative. Incertezze sulle diagnosi e sulle cure. Impotenza di fronte alla progressione della malattia. Tante sofferenze sempre sopportate con il sorriso. Dialoghi e silenzi laceranti. Infine: la morte… il vuoto. La sofferenza scolora ancor di più la solitudine dell’uomo che ha coltivato come un fiore la sua famiglia e che ora la vede sgretolarsi, confondersi in quell’assenza, nella precarietà di una cura difficile da gestire da solo. È in angoscia soprattutto per il figlio Alberto che ricerca nel padre la risposta al bisogno di affetto e di unità con cui far fronte al dolore, e il rispetto per l’autonomia di chi si è fatto uomo. Giulio sente la sua inadeguatezza, sente annullarsi le forze, assorbite anche da nuovi impegni professionali nei complessi risvolti decisionali che lo hanno obbligato a lasciare una struttura aziendale che ha visto crescere e a cui ha sacrificato forze e tempo. Comunitario In questa distruzione totale, in questo tunnel di cui non vedevo via d’uscita, dentro di me, cominciò a farsi sentire una voce: Giulio, prendi il mio testimone, torna a frequentare i Focolari. Era Adriana, le parole non erano espresse, ma riuscivo ugualmente a cogliere nitidamente il messaggio. Dapprima non ci feci caso – memore dei miei passati infruttuosi approcci con il movimento -; ritenevo quell’invito effetto unicamente della mia fantasia. Passò del tempo, ma la voce diveniva sempre più insistente e alla fine mi decisi di bussare alla porta del Focolare della mia città. Iniziò così un lungo e faticoso processo di avvicinamento ad una visione più coinvolgente e partecipata della vita cristiana e di apertura alla spiritualità comunitaria. Il binomio Dio-amore non voleva però entrarmi in testa, ma soprattutto nel cuore. Mi irritava sentirmi dire: Dio ti vuol bene. Ero tuttavia deciso a tener duro e a fare esercizio di pazienza e di umiltà, prima di tutto verso me stesso. Più facile mi fu accogliere la seconda parte della regola d’oro, l’amore verso il prossimo, anche se la sua pratica attuazione era costellata di insuccessi. Quel prossimo lo vedevo, gli parlavo, magari litigavo con lui, gli chiedevo scusa. Ma Dio dove stava? Ma soprattutto da che parte stava?. Si apre per Giulio un cammino lento e decisivo, fatto di dubbi e di abbandoni in quel volto, così lo definisce, la cui luce salvifica intravede nella penombra di una chiesa, riconosce nel mistero della messa e nel sacrificio di un Gesù che si abbandona al Padre, comunque e nonostante tutto. Capii allora che amore e dolore erano le due facce inscindibili della stessa medaglia e che l’uno poteva essere tanto più forte quanto più era accettato l’altro. Sognatore Fu in quel momento che iniziai a fare un sogno. Sognavo di essere in aperta campagna, immerso nel buio più completo, non c’erano né luna né stelle. Il silenzio era totale. Non vedevo e non udivo nulla. Tuttavia, dopo che i miei occhi si erano abituati al buio, mi rendevo conto che in fondo, in basso, c’era una fascia più scura. Intuivo che potevano essere degli alberi, un bosco. Il sogno continuò a ripetersi. Una notte cominciai a sentire degli schianti secchi, rumori che conoscevo bene e che più volte mi era capitato di udire nelle mie escursioni in montagna: erano alberi che si abbattevano. Quegli scricchiolii e quei tonfi non erano percepiti dagli orecchi, erano nel mio interno, come se qualcosa si spezzasse dentro di me. Il sogno proseguì notte dopo notte con lievi piccole evoluzioni. Ad un tratto mi accorsi che tra i tronchi e sopra le chiome degli alberi cominciava a spuntare nel fondo buio una luce bianca, dapprima flebile, poi sempre più intensa, argentea. Alla fine la luminosità era completa pur essendoci ancora alcuni alberi, i più piccoli. Una notte, l’ultima in cui feci questo sogno, da quella luce uscì una voce che ancora una volta percepivo solo dentro di me: Ecco, io mi sono rivelato, ora tocca a te. La stranezza del sogno, la sua ripetitività, il messaggio finale mi fecero pensare a qualcosa di non usuale. Non riuscivo tuttavia a coglierne il significato. Avevo però la certezza che se si fosse trattato di qualcosa d’importante, prima o poi mi sarebbe giunta anche la spiegazione. Una mattina infatti, al risveglio, tutto mi sembrò chiaro: la notte buia era la mia vita passata, gli alberi erano tutti i falsi idoli che mi ero creato (la volontà di successo, la ricerca del benessere, la preoccupazione per la bella casa, l’attenzione egoistica verso la mia famiglia, esclusiva di ogni apertura verso le esigenze degli altri) e che era necessario abbattere per far emergere il Dio vero, quella Luce che negli ultimi anni avevo tanto invocato. Deciso Ora tocca a te! è l’incitazione che riempie la mente di Giulio. Come rispondere a quell’appello? Ed ecco siamo giunti a quell’alba, in terra ungherese, quando i colori del bosco e del cielo si fondono con la luce, la stessa presente nel sogno, e aprono gli occhi e il cuore a un’intuizione, al superamento anche dell’ultima incertezza, resa leggibile nelle striature rosse del cielo ad est. L’intuizione è l’invito di Chiara Lubich che quel giorno ripete: Avanti sempre, senza paura!. Ora sapevo perfettamente cosa dovevo fare, mi intimorivano soltanto quelle grandi striature di rosso all’orizzonte. Ma quell’ avanti sempre senza paura di Chiara, comunicatoci in quella stessa giornata, finì col dissipare anche quest’ultima mia insicurezza. Oggi sono qui – dissi ai miei amici – per rispondere a quell’ora tocca a te, a dire il mio sì incondizionato alla sua volontà, a confidare nel suo aiuto e nel vostro. È bello poter contare sull’amicizia di tanti, sull’abbraccio dell’ideale di un mondo più unito sul serio, sull’accompagnamento vivo di due occhi splendenti da bambina, che ogni giorno ti rassicurano che l’amore non ha confini e non teme neppure la morte.

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