Oltre i partiti personali: la riscoperta della politica

Elezioni
Sulla scia delle riflessioni introdotte da Antonio Maria Baggio e riprese da Marco Martino e Paolo Giusta, sottolineo l’esigenza, in vista delle prossime elezioni, di riscoprire la politica andando oltre i partiti personali. L’abbandono del carattere personalistico della leadership di partito segnerebbe, infatti, il definitivo superamento della cosiddetta Seconda Repubblica. L’insorgere di “Tangentopoli” ha determinato, a partire dal 1992, l’inizio di un ventennio caratterizzato da un bipolarismo primordiale, causa prima di governi incapaci di affrontare i problemi reali del Paese e che ha portato inesorabilmente da una parte verso l’implosione dei partiti e dall’altra al rifiuto, da parte dei cittadini, della politica stessa. Si è avuta l’immagine di una vera tela di Penelope, fatta e disfatta da un governo all’altro senza neppure l’idea di una politica industriale ed ambientale, senza una vera e organica riforma costituzionale, senza un freno efficace al debito pubblico, alla perdita di competitività internazionale, alla corruzione, all’evasione fiscale, alla criminalità organizzata. L’Italia, dopo la caduta del Muro di Berlino, con il crollo della DC e del PCI, anche se è stata capace di entrare nella moneta unica, non ha saputo rispondere alle sfide del mondo globale che ha sottratto una parte consistente della sovranità agli Stati nazionali, rimanendo aggrovigliata in una politica rozza, inconcludente e personalistica[1].

Esistono due Italie, quella degli onesti e quella dei disonesti, rappresentate da due tipi di cittadini e di politici, mescolati tra di loro nello stesso ufficio, nella stessa fabbrica, nello stesso Parlamento? Questo il forte interrogativo espresso da Antonio Maria Baggio[2]. Non potendo anticipare un giudizio definitivo, immediato è l’invito a fare politica, a trovare le vie per la salvezza del Paese, a individuare una mappa per un percorso credibile verso le elezioni politiche. Tutto ciò con particolare riguardo per i soggetti «più deboli del corpo sociale, trovandosi essi in condizioni di inferiorità nel far valere i loro diritti e nel perseguire i loro legittimi interessi»[3]. «D’altra parte, come ribadiva don Lorenzo Milani nelle sue lezioni alla scuola di Barbiana, “non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”»[4].

Le due Italie non possono più coesistere. È arrivato il momento storico in cui dobbiamo far prevalere l’Italia virtuosa, se non vogliamo entrare nel declino come nel Seicento dello scorso millennio.

Solo la politica, attuata da una nuova classe dirigente sana e unita, partecipata da cittadini attivi e legata all’Europa stessa, potrà consentirci di evitare il fallimento del nostro sistema. Si tratta, infatti, di un compito immane: togliere dalle spalle dei figli i debiti accumulati dai padri negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, per ridare slancio agli investimenti, alla crescita, al lavoro per le nuove generazioni. Solo una politica seria e capace di riforme strutturali potrà consentirci di espiare questa «vera e propria colpa storica e morale»[5]. Colpa da rimuovere, anche e soprattutto, mediante «una grande sfida di solidarietà che intende superare particolarismi ed egoismi attraverso un patto fra le generazioni che sia foriero di un modello di sviluppo sostenibile per la costruzione di una società più giusta, più coesa e più inclusiva»[6].

Riuscirà l’Italia in questa missione storica di risanamento e di rilancio della crescita? Potrà farcela «una società senza Stato», risultato di una gestione oligarchica e paternalistica del suo processo di formazione, come sostiene Sabino Cassese?[7] Essa potrà riuscirci se riscoprirà la forza delle sue città[8], la forza delle numerose associazioni di volontariato, delle molteplici energie imprenditoriali, dell’economia civile, del lavoro congiunto tra politici responsabili ed onesti e cittadini che hanno recuperato un alto senso dello Stato, in Italia storicamente tiepido. Questo è il punto critico: superare «il distacco tra società e Stato, cittadini ed autorità»[9]. «Una società civile che procede per fiammate (referendum, movimenti di protesta, ecc.) è sintomo, spesso, di quella carenza di fiducia che nasce dall’incapacità dello Stato di produrre beni collettivi: cultura civica, attitudine alla cooperazione, reti associative, norme che regolano la convivenza. Le tante diseguaglianze che vivono dentro il Paese (la più classica dicotomia è rappresentata dal binomio Nord-Sud), manifestano una mancata integrazione nazionale e l’assenza di un’anima condivisa da un popolo unitario»[10].

In questo scenario storico molto problematico incombe la sesta ricandidatura a premier di Silvio Berlusconi. Quale significato politico attribuire a questa ennesima sfida elettorale? «Usa le sue ultime forze per impedire che sorga un polo politico autonomo dalla sua persona, quel polo liberale e riformatore di cui l’Italia ha bisogno da vent’anni e che egli ha sistematicamente impedito, annunciandolo a parole ogni giorno e ogni giorno negandolo coi fatti»[11]. È questa la destra sgangherata di cui parla Paolo Giusta[12], che sembra aver lasciato al centrosinistra il rigore finanziario ed il senso delle istituzioni, nello sconcerto dei moderati europei. In questi giorni, il polo riformatore, popolare e liberaldemocratico, sembra coagularsi intorno al presidente del Consiglio Mario Monti, come un nuovo centro politico alternativo alla destra populista e al centrosinistra. Sembra profilarsi «una scelta di campo da portare fino in fondo»[13]. È  urgente, infatti, un fattore di riequilibrio del nostro sistema politico. Ciò avverrebbe con una coalizione centrista, riformatrice e liberaldemocratica che si richiama agli ideali del Partito Popolare europeo. Si otterrebbe un effetto di semplificazione e di normalizzazione del nostro distorto bipolarismo all’italiana, finora caratterizzato dalla ricerca esasperata delle ali estreme, anziché dalla contesa dell’elettorato moderato di centro, come avviene in tutte le democrazie mature[14].

Molto opportunamente, Marco Martino afferma che il ritorno di Berlusconi non è – a rigore – un autentico progetto politico[15]. La sua ricandidatura ha bloccato le elezioni primarie, non ha aiutato il PDL a ristrutturarsi e finisce per deresponsabilizzare il suo elettorato, rispetto ai debiti da pagare con una politica di rigore e di sviluppo nella coesione sociale.

 Con Monti, in conclusione – non inserendo, però, il suo nome sul simbolo di un nuovo partito, se nascerà dall’esperienza elettorale avviata con la salita in campo mediante un’Agenda per cambiare l’Italia e riformare l’Europa[16], per non cadere nella tentazione personalistica anche al Centro – potrebbe essere possibile passare da un bipolarismo conflittuale e inconcludente ad un bipolarismo collaborativo, anche in un prossimo governo di larga coalizione, per poi dividersi pacificamente come nella consolidata tradizione tedesca ed europea. Con De Gasperi, proiettati con il pensiero verso le nuove generazioni e non solo fino alle prossime elezioni, oltre i partiti personali per entrare finalmente in Europa e non solo nell’Euro, per restituire alla politica tutta la sua dignità, complessità ed efficacia.

 

 



[1] Cf. S. Colarizi, M. Gervasoni, La tela di Penelope. Storia della seconda Repubblica, Editori Laterza, Roma-Bari 2012.

[2] Cf. A.M. Baggio, Le due Italie. Mappa per un percorso verso le elezioni politiche, in «Nuova Umanità», n. 204/ 2012 (anteprima in NU on line, dicembre 2012).

[3] Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris, n. 34.

[5] G. Napolitano, Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Palazzo del Quirinale, Roma, 31 dicembre 2010, in http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=2052.

[6] G. Napolitano, Messaggio in occasione della cerimonia dell’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni, Roma, 4 dicembre 2012, in http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=4&key=14350.

[7] Cf. S. Cassese, L’Italia: una società senza Stato?, il Mulino, Bologna 2011.

[8] Cf. Che sarebbe l’’Italia senza le città?, Convegno di Genova, 1-2 dicembre 2012, in www.mppu.org.

[9] M. Luppi, Dalla frammentazione alla costruzione della fiducia. L’Italia “senza Stato” di Sabino Cassese, in «Nuova Umanità», XXXIV (2012/3) 201, p. 485.

[10] Ibid., p. 486.

[11] A.M. Baggio, Berlusconi e Maritain, NU news 202-203, 29 novembre 2012. in http://nuovaumanita.cittanuova.it/contenutoNUnews.php?idContenuto=333565.

[12] Cf. P. Giusta, Perché bisogna pagare i debiti, NU news 202-203, 19 dicembre 2012, in http://nuovaumanita.cittanuova.it/contenutoNUnews.php?idContenuto=333568.

[13] P.A. Capotosti, Una scelta di campo da portare fino in fondo, in «Il Messaggero», 20 dicembre 2012.

[14] Cf. ibid.

[15] Cf. M. Martino, Il ritorno di Berlusconi non è un progetto politico, NU news, 13 dicembre 2012, in http://nuovaumanita.cittanuova.it/contenutoNUnews.php?idContenuto=333567.

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