Non solo pari opportunità

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Donne in carriera o madri, impegnate in politica o casalinghe, imprenditrici o mogli? Sembra che per le donne sia doverosa la” separabilità delle scelte. O l’una o l’altra. Mentre gli uomini possono risultare mariti e padri ed essere top manager, politici di spicco, professionisti affermati. In effetti quello tra il riconoscimento dello specifico femminile o la mascolinizzazione delle donne è ancora un dilemma irrisolto. Dopo decenni dalle più travolgenti rivendicazioni femministe la domanda sul ruolo delle donne nella società, per tanti sembra non aver trovato la risposta che ci si attendeva. Già perché al di là dei grandi proclami, c’è da fare i conti con la realtà e i conflitti irrisolti sono ancora tanti. Primo fra tutti, forse, come conciliare famiglia e lavoro. E il problema, se così vogliamo chiamarlo, non è solo delle donne. Se esse in Italia sono 29 milioni su un totale di 57 milioni di cittadini, la loro vicenda avrà pure una ripercussione sull’intera società. Il fatto ad esempio che nella posizione di dirigente solo l’8 per cento sia costituito da donne o che le medesime abbiano una rappresentatività molto bassa nelle istituzioni civili (una sola presidente regionale su 21, quattro provinciali su 106, sette sindaci su 110 comuni capoluogo), non è solo una mancanza di pari dignità. dignità. È la società nel suo insieme che viene a mancare di quell’apporto femminile che ha tutta una serie di sfumature complementari ed insieme uniche rispetto a quelle maschili. Ad esempio la sua naturale apertura alla vita (non solo ai figli), la sua capacità di accogliere, di entrare in relazione con gli altri” Elementi della sua identità, della ricchezza che le viene dalla natura stessa e che, se non riconosciuti, hanno come conseguenza un impoverimento del suo contributo nella collettività di cui crisi familiari e disagi sociali sono la spia più evidente. Forse anche per questo di recente è nato a Roma, presso l’ateneo pontificio Regina apostolorum, un Istituto di studi superiori sulla donna (Issd). Il suo scopo è essenzialmente quello di valorizzare e promuovere la vera identità della donna in tutte quelle attività che la riguardano come soggetto protagonista. Intende farlo suscitando una profonda riflessione culturale affinché nel tessuto quotidiano siano le donne stesse a diffondere quei valori e a sviluppare quelle risorse che contribuiscono oltretutto ad una società più equilibrata e quindi anche più umana. Già, perché, come affermato da Giovanni Paolo II, la donna ancor più dell’uomo vede l’uomo perché lo vede con il cuore. Lo vede indipendentemente dai sistemi ideologici o politici. Lo vede nella grandezza dei suoi limiti e cerca di venirgli incontro e di essergli d’aiuto. È un processo ancora in corso che non può fare a meno di una formazione culturale che agevoli le donne per prime a prendere coscienza di sé e delle proprie disposizioni e coinvolga pure gli uomini in un rapporto di reciprocità. Se in tale processo sono tante le vie percorribili, la premessa è sicuramente quella di conoscere la realtà non nelle linee generali e teoriche, ma nel concreto. Da un’indagine condotta dall’Istituto sulla condizione della donna nella regione Lazio emerge uno spaccato significativo che, seppur limitato ad una sola regione, offre comunque spunti interessanti di approfondimento. Tra inquietudini, risorse e prospettive la ricerca affronta diverse tematiche: il rapporto delle donne con la società, con l’istruzione, col lavoro e la famiglia, con la maternità, con la cultura, con la qualità della vita. Tra i dati più significativi, ad esempio, quello su quale sia ritenuta la forza principale delle donne. Il 28 per cento delle intervistate trova che essa consista soprattutto nella la capacità di entrare in relazione con gli altri. E poi un interrogativo sui modelli femminili proposti dalla televisione da cui risulta che solo lo 0,4 per cento vi si sente identificata. Veline, rubacuori e donne che cercano il successo a tutti i costi evidentemente offrono un’immagine distorta della realtà. Essa, per fortuna, è fatta di persone che nella propria vita hanno dei valori, degli scopi, degli ideali più alti. Donne che non passano da un uomo ad un altro con così tanta disinvoltura né pensano che la propria realizzazione dipenda dal mettere in mostra il proprio corpo. Un discorso a parte merita poi la rappresentatività femminile in certi ambiti. Su scala nazionale, ad esempio, dobbiamo registrare che a fronte di una media europea di donne elette nei parlamenti nazionali del 34, 3 per cento, in Italia ci troviamo davanti ad un 11,5 per cento. Nei sindacati esse raggiungono appena il 10 per cento fra i rappresentanti; ai vertici della ma- gistratura ordinaria il 7 per cento; a livello diplomatico il 9,3 per cento. E questo nonostante il rapporto maschi/femmine tra i laureati sia netto vantaggio di queste ultime che riescono prima e meglio. È, quest’ultimo, un dato acquisito che però non riduce il divario esistente anche nell’ambito della carriera universitaria, dove il problema di mancata valorizzazione di capitale umano femminile è ancora oggi un dato di fatto. Detto questo, non occorre dimenticare comunque che per un’alta percentuale di donne una parte importante della propria realizzazione sia rappresentata dalla maternità. E dunque questo è un elemento da non trascurare. Anzi, se fosse adeguatamente preso in considerazione, con politiche familiari adatte, non rappresenterebbe, come di fatto adesso succede, un ostacolo al lavoro. O, come forse nella maggior parte dei casi viceversa accade, il lavoro non limiterebbe la procreazione dei figli. Che non è un fatto privato delle donne. Spesso, infatti, proprio la solitudine di una madre che angoscia ancora più di eventuali problemi economici ed organizzativi incidendo sulla possibilità di portare termine o meno una gravidanza. Al contrario una presa in carico dei figli anche da parte del padre, una rete familiare di sostegno, flessibilità del lavoro faciliterebbero una riorganizzazione della società che farebbe più contenti tutti. Come si vede, siamo reciprocamente necessari. LA RICERCA DELL’ISSD La ricerca La donna, inquietudini, risorse e prospettive. Un’indagine sulla condizione della donna nella regione Lazio si basa su un campione di 700 donne residenti nella capitale e nelle province della regione, suddiviso per fasce di età. Il campione è inoltre caratterizzato da un elevato tasso di occupazione per cui solo l’1 per cento risulta disoccupato. Alcuni dati. Molte delle donne del campione sono convinte che il contributo che esse possono apportare alla società è negli stessi ambiti degli uomini (43 per cento). Solo l’1,5 per cento percepisce la risorsa femminile come ininfluente o passiva nel miglioramento del mondo del lavoro. Il 34,8 per cento del campione ritiene di avere nella società un ruolo importante ma poco conosciuto. La cura della famiglia e la solidarietà permangono gli ambiti in cui le donne forniscono il loro maggiore contributo. Nel rapporto tra la donna e la politica, emerge che parte significativa delle donne se ne disinteressa. La stragrande maggioranza, il 70 per cento, ritiene insufficiente la presenza femminile nella vita politica, causa un radicato maschilismo. Il 12,9 per cento pensa invece che ciò sia dovuto al loro maggior coinvolgimento negli impegni familiari rispetto agli uomini. Alla domanda se il modello occidentale di emancipazione femminile avesse maggiormente reso le donne coscienti del proprio valore, solo il 32,4 per cento si è trovato d’accordo. Per il 25,7 per cento esso ha ampliato le possibilità di scelta e di realizzazione , per il 15 per cento ha liberato le donne dai pregiudizi ; il 13 per cento pensa che ha indebolito la famiglia, il 13,3 per cento che ha mascolinizzato la donna. Di diverso avviso le donne non italiane per le quali tale modello ha soprattutto indebolito la famiglia (58,3 per cento).

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