«Non lasciateci morire»

Sono passati tre mesi dalla prima vittima dal governo di Daniel Ortega. Prima di allora si contavano 25 morti mentre ad oggi ce ne sono già più di 350, oltre a 3 mila feriti, centinaia di scomparsi e 275 prigionieri

 

La crisi sociopolitica in Nicaragua era stata scatenata da una proposta di riforma successivamente ritirata dal governo, che mirava ad aumentare la percentuale di contributi all’Istituto di sicurezza sociale del Nicaragua (Inss). L’azione ha scatenato l’insoddisfazione dei nicaraguensi, che per la prima volta si sono organizzati per svolgere massicce proteste contro Daniel Ortega e sua moglie Raquel Murillo, che è anche vicepresidente.

Negli ultimi 90 giorni le strade del Nicaragua sono state tinte di sangue, specialmente di giovani studenti. «Ho una particolare preoccupazione per un’amica e suo figlio – racconta una persona che per paura chiede l’anonimato – è uno studente uscito per protestare contro questo governo e che ora si nasconde perché ha paura di essere ricercato e ucciso».

La stessa fonte descrive la vita quotidiana a Managua, la capitale del Paese: «Viviamo in una cultura della paura, gli attacchi si succedono durante la notte e all’alba. Nessun posto è al sicuro». Lo fa anche Manuel Díaz, il blogger più popolare in Nicaragua (bacanalnica.com), il quale è diventato un canale d‘informazione di fronte alla censura dilagante del governo: «Non puoi uscire dopo le 6 del pomeriggio. Ogni settimana il governo fa qualcosa di ancora più violento. A maggio, la polizia ha smesso di uscire in uniforme e hanno creato gruppi di paramilitari tecnicamente specializzati che se ne vanno con le facce coperte. Sono una minoranza, ma hanno armi e sono disposti a usarle».

Quali sono le possibili soluzioni al conflitto? Il processo di dialogo tra governo e società civile è stato sospeso. Il tentativo è stato condotto da studenti che, per la prima volta, hanno detto a Daniel Ortega della sua insoddisfazione e delle ferite create per le misure di repressione che il governo sta prendendo contro la società civile.

Un altro attore importante in questo processo è stata la Chiesa cattolica, considerata dai nicaraguensi come l’istituzione con la maggiore credibilità. Mons. Silvio José Báez è intervenuto durante il conflitto a favore della fine della repressione, ed è stato anche vittima di attacchi violenti da parte di gruppi legati al governo. «È vero che i proiettili possono passare attraverso le tonache, ma non uccidere gli ideali e i progetti di Dio», ha detto il vescovo Báez il giorno in cui è stato attaccato.

I sacerdoti nelle chiese hanno accolto coloro che fuggono dai proiettili dei gruppi paramilitari. Uno degli incidenti più controversi è successo martedì scorso, quando la popolazione indigena di Monimbó, nella città di Masaya, è stata attaccata. Il parroco di Monimbó, Augusto Gutiérrez, ha rilasciato un’intervista al programma La Tarde, della stazione radio spagnola Cope. Con la voce rotta dalle lacrime, ha detto: «Il governo ci sta uccidendo. Sostengo il dialogo, ma penso che il governo non voglia usare la ragione. Questa è diventato una guerra. Chiedo a tutti i governi del mondo: non lasciateci morire, fate qualcosa, non lasciateci morire».

Il parroco chiede alla comunità internazionale di guardare cosa sta succedendo in Nicaragua. In realtà, mercoledì i Paesi membri dell’Organizzazione internazionale degli Stati americani hanno tenuto una sessione permanente in cui con 21 voti a favore e tre contrari (Nicaragua, Saint Vincent e Grenadine e Venezuela), hanno approvato una risoluzione che condanna le violenze e la repressione in Nicaragua, in particolare «gli attacchi contro il clero, contro i vescovi cattolici che partecipano al dialogo nazionale, la violenza presso l’Università nazionale autonoma del Nicaragua (Unan), la sede della Caritas, e di altri manifestanti pacifici. La risoluzione ha esortato il governo a raggiungere un consenso su un calendario elettorale. Nel corso della stessa riunione, il governo del Nicaragua ha sostenuto che le proteste sono un tentativo di colpo di Stato e coloro che le organizzano sono un gruppo di terroristi. Inoltre ha chiesto che gli altri Paesi rispettino le decisioni interne del governo del Nicaragua.

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