Non c’è che un passo sulla Via, un passo fuori da se stessi

Claverie

Ho conosciuto la figura di mons. Claverie nel 2007. Avevo appena deciso di accostarmi con maggiore serietà allo studio dell’arabo e un amico di famiglia mi fece dono della biografia di questo uomo di Chiesa, che aveva iniziato la sua avventura proprio sopra le grammatiche di arabo. Negli anni di studio a seguire ho avuto diversi modi di rincontrare questo uomo, soprattutto nelle parole dei Padri Bianchi in Algeria o nel Centro studi  dei Domenicani al Cairo.

Nonostante ciò, parlare di lui a quattro anni di distanza da quel primo incontro, rimane ancora un’impresa. Claverie fu un uomo complesso e dalle mille sfaccettature. Egli fu scout, religioso, vescovo, predicatore, studente e studioso, figlio di colonialisti francesi e poi algerino d’adozione, uomo di profonda spiritualità, ma anche di profondo spirito (celebre era il suo “ballo del qua qua”, interpretato già in età avanzata anche davanti all’ambasciatore di Francia). Claverie fu tutto questo e molto di più perché, per parafrasare Sartre (Situations I, 1947), egli non fu semplicemente la somma di tutti questi aspetti, ma soprattutto la totalità di quello che non aveva ed era ancora, tra tutto quello che avrebbe potuto avere o essere.

Proprio per questo, piuttosto che continuare in questa lunga lista di cose che fu, credo che il modo migliore per descriverlo sia quello di parlare della sua aspirazione a servire Dio “in casa dell’Islam”. Farò quindi riferimento a quelle parole che a mio parere meglio raccolgono lo spirito della sua vita e del suo ministero, le quali sono contenute nella preghiera che ogni giorno pronunciano le Piccole sorelle del Sacro Cuore di Gesù in Algeria, che insegnarono a Claverie l’arabo e gli mostrarono un nuovo modo di fare missione, a servizio delle necessità dei fratelli musulmani: “Accogli, o Padre Santo, in unione al sacrificio del corpo e del sangue di Cristo e per la gloria del Tuo nome, l’offerta della mia vita in immolazione per i miei fratelli dell’Islam e del mondo intero. Io te la offro anche per tutti i miei fratelli poveri e oppressi, perché trovino la loro vera liberazione nella giustizia e nella carità di Cristo …”.

Ecco racchiusa qui tutta la vita di Claverie, quella doppia vocazione, come amava dire lui. La prima quella algerina. La seconda domenicana. Claverie conobbe la spiritualità di S. Domenico proprio in Algeria, e dopo il seminario in Francia, tutto l’Ordine riconobbe che solo in Algeria si sarebbe realizzata la sua vocazione. Claverie fu quindi uomo di Algeria e uomo di Dio. Uomo di Dio, proprio come quei monaci uccisi poco prima di lui e di cui da poco è stata fatta memoria nel film Uomini di Dio del regista Xavier Beauvois (2010). E fu uomo di Algeria che si impegnò perché la Chiesa, una volta partiti i francesi, restasse in quel Paese come servizio per gli algerini, per accompagnarli in quel processo che andava delineando la loro identità nel tentativo di uscire da una forte condizione di povertà (“entrare, in quanto uomini e in quanto cristiani, nel futuro del popolo algerino”). Un progetto in cui egli rimase sempre coerente, innamorato della differenza (“che ci dice la strada che dobbiamo ancora percorrere”) e denunciando tutto ciò che nella Chiesa, o negli altri, andava contro i principi del dialogo[1]. Grazie a questo percorso di comunione, di vita e riflessione con l’Altro, in quegli anni post-conciliari la Chiesa, con personaggi come Claverie, scopriva quindi un senso nuovo della missione e dell’annuncio del Vangelo, confrontandosi con nuove questioni. L’ecclesiologia del Vaticano II andava infatti cercando quelle categorie per conoscere l’alterità[2], e riconoscere l’Altro come soggetto titolare di possibili strade diverse per arrivare a Dio[3], rielaborando il pensiero su se stessi e riscoprendo il ruolo di Gesù come unico redentore.

Questo sforzo di conoscenza e comunione si rifletté nella stessa vita di Claverie, il quale solo dopo anni passati in Algeria sempre all’interno della comunità francese, scoprì di aver vissuto “in una bolla coloniale”, senza essersi mai accorto dell’Altro. Motivo per il quale al “dialogo organizzato”, preferì sempre la vita in comunità, che gli permetteva di tenere sempre viva la presenza dell’alterità e di consumarsi nel fare esperienza di essa (tanto che si schernì sempre dell’augurio di mons. Duval di diventare “l’Anawati del Maghreb”). Claverie infatti, nonostante fosse spesso presente in importanti convegni di dialogo inter-religioso, e facesse parte del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso, non lasciò molti scritti né si distinse mai quale grande teologo. Il suo contributo fu soprattutto la riflessione maturata nella vita affianco ai musulmani. A partire proprio dalla sua esperienza quindi, nel dibattito sulle teologie delle religioni non cristiane e l’economia della salvezza, egli sostenne che la pienezza della Rivelazione in Gesù Cristo non esclude che i frutti dello Spirito di Dio nella storia delle altre religioni possano contribuire alla manifestazione piena della salvezza. Aderendo alle tesi che Geffrè andava presentando in quel periodo, egli era convinto che: «siamo invitati a superare l’ecclesiocentrismo rigido che ci rende incapaci di discernere la venuta di Dio al di fuori delle frontiere visibili della Chiesa … La Chiesa come sacramento di salvezza è sacramento della presenza di Dio sotto forme molteplici e inattese lungo i secoli … Non dobbiamo disconoscere le differenze delle altre religioni, tentando di portarle al cristianesimo, quanto piuttosto indirizzare i loro fermenti di santità al vero Dio, verso il quale esse tendono escatologicamente».[4]

Coerentemente con queste posizioni, nello svolgere il suo ministero episcopale Claverie elaborò quindi un programma del dialogo con i musulmani, il quale è così riassumibile[5]:

  1. I credenti non sono portati per natura alla tolleranza poiché ognuno di loro si sente portatore di un messaggio divino dalla portata universale e globalizzante. Il primo passo fondamentale da compiere è quindi riconoscere e accettare l’alterità.
  2. Questo percorso di conoscenza e scambio, deve però essere esente dal desiderio di manifestare l’errore altrui. Un desiderio normale dato che siamo entrambi “eredi della fede di Abramo, radicati sullo stesso terreno dell’avventura biblica, (e per cui) abbiamo difficoltà a comprendere perché siamo differenti …”. Dobbiamo invece scoprirci “vicini e chiamati a una stessa missione ricevuta dall’unico Dio, non sopraffacendo l’altro, ma costruendo assieme a lui un mondo più umano, secondo la divina volontà”.
  3. Il dialogo inter-religioso non deve essere inteso come tecnica di approccio in vista della conversione, ma deve lavorare per accettare la fatica di far propria la domanda che ci pone l’Altro con la sua stessa esistenza. In questo modo sarà possibile porsi insieme le domande fondamentali che interpellano ciascun uomo.
  4. Evitare qualsiasi, anche parziale, occultamento delle differenze e delle difficoltà.
  5. Creare sin da subito un clima di fiducia e di mutuo rispetto, perché, citando S. Agostino, “l’amore fraterno è il primo e l’ultimo grado per condurci all’amore di Dio”.

 

Sulle basi di questo ultimo punto, e spronato dalla riflessione del vescovo algerino di Ippona, Claverie quindi dedicò buona parte del suo ministero alla predicazione e alle relazioni con gli altri (non fu mai necessario prendere appuntamento per andare a trovarlo) o a costruire e contribuire a centri di formazione, di studio e di assistenza, dove i cristiani potessero mettere i loro talenti a disposizione dei musulmani. Egli, “ospite in casa dell’Islam”, e senza cercare la conversione dei musulmani, cercava il senso della propria presenza in Algeria e si proponeva di trovare un modo di contribuire alla crescita dello Stato algerino. Il suo fu quindi uno sforzo continuo per trovare le forme in cui la Chiesa poteva farsi servizio, perché “Il valore essenziale della nostra vita è il superamento delle nostre barriere, l’uscire da noi stessi per amore (…). Ecco il fondamento della nostra vita, di credenti o non credenti, di cristiani, o musulmani o buddisti”. Tanto che amava ripetere con il grande mistico sufi Djalâl al-Dîn Rûmi che “non c’è che un passo sulla Via, un passo fuori da se stessi”. Egli, è chiaro, seguiva la Via dell’Amore, di chi ha imparato ad amare perché prima è stato amato (Gv 4,10-19), e questo amore disinteressato e vero per l’Algeria, gli valse non solo il titolo di vescovo dei cristiani, ma di tutta Orano. Tanto che ai suoi funerali parteciparono soprattutto musulmani. I funerali per l’appunto, il momento più importante della sua vita, quando Claverie assassinato dall’estremismo, martire di Algeria, mostrò i risultati più importanti della sua vita e della sua riflessione. Egli elaborò quella che potremmo considerare una spiritualità della presenza nel mondo musulmano, per la quale decise di non abbandonare, anche davanti al pericolo, la terra della sua missione. Fu con quello spirito che Claverie scrisse, a tre giorni della propria morte, la sua ultima lettera – con la quale concludiamo questa presentazione – la quale riguardava la morte dei già citati monaci trappisti uccisi poco tempo prima:

«La morte dei monaci, che erano fratelli e amici nostri da lunga data, ci ha straziato una volta di più, ma ci ha spinto a stringere ancor di più i nostri legami con migliaia di algerini, assetati di pace e stanchi della violenza. Il loro silenzioso messaggio ha avuto risonanza in milioni di cuori ovunque nel mondo. Noi restiamo qui per fedeltà a questo grido di amore e riconciliazione che il loro priore aveva espresso nel proprio testamento spirituale, in cui considerava lucidamente la possibilità della morte. Io sono divenuto guardingo e ho la protezione delle forze dell’ordine, ma Dio rimane il padrone della mia ora X, ed è Lui soltanto che può dare un senso alla nostra vita e alla nostra morte. Il resto non è altro che polvere negli occhi».

Pierre Claverie 29/07/1996

 

Note Biografiche

Pierre Claverie nasce in una famiglia francese ad Algeri l’ 08/05/1938. Nel 1948 entra nel gruppo scout “Saint-Do” dove conosce la realtà domenicana. Nel 1957 è a Marsiglia per l’università, ma già l’anno dopo la abbandona per entrare in un seminario domenicano. Torna ad Algeri nel 1962 prima per il servizio militare, poi come missionario. Nel 1973 diviene rettore del centro studi di arabo e islamistica “I glicini” di Algeri, e nel 1981 è ordinato vescovo di Orano. Il 01/08/1996 viene assassinato dalle frange più estremiste dell’islamismo algerino. La maggior parte dei nostri riferimenti biografici e delle citazioni – poste in virgolette nel testo – sono tratte da J. Pérennès, Vescovo tra i musulmani. Pierre Claverie, martire in Algeria, Città nuova, Roma, 2004.

 



[1] Claverie in diverse occasioni parlò – ad esempio – contro la mancata revisione di certi aspetti della Sharia, soprattutto quelli relativi alla posizione giuridica dei cristiani ( dhimmi ) nelle terre d’Islam.

[2] “…(la Chiesa cattolica) nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini (Nostra Aetate, n.2).

[3] Si vedano di quegli anni, ad esempio: Conférence épiscopale d’Afrique du Nord, Le sens de notre rencontre, Rome, 4 mai 1979; Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, Istruzione Diaologo e annuncio, riflessioni e orientamenti sull’annuncio del Vangelo e il dialogo interreligioso, 19 maggio 1991, in AAS 84, 1992, 414-446.

[4] C. Geffré, La théologie des religions non chrétiennes vingt ans aprés Vatican II, in Islamochristiana, n. 11, 1985, p. 128.

[5] Per approfondimenti si veda P. Claverie, Percorsi del dialogo islamico-cristiano, in Lettere dall’Algeria, ed. S. Paolo, Milano, 1988, pp. 265-290, e J. Pérennès, Vescovo tra i musulmani, Città Nuova, Roma, 2004, pp. 221-228.

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