Nella pelle degli altri

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Incontro Scapagnini, nella sua casa di Napoli, appena tornato da Calcutta dove è stato premiato con la Civic Reception, prestigioso riconoscimento già assegnato al Mahatma Gandhi nel 1924, e poi ad altri premi Nobel come Tagore, Madre Teresa, Nelson Mandela. Lei è il primo italiano che riceve questo premio. Ho vissuto giorni straordinari insieme alla mia famiglia. Prima della cerimonia ufficiale, il sindaco di Calcutta ha invitato me e mia moglie nel suo ufficio: subito si è creato tra noi un rapporto profondo di comunione. Poi il magico evento: la Corporation di Calcutta, premiava nella mia persona il valore dell’amicizia fra uomini e popoli di nazioni diverse, quale valore fondamentale sulla via della fraternità e della pace. E questo mi ha dato grande gioia. Come è nato questo impegno? Il papà di mia madre è morto all’età di 33 anni sul fronte della Prima guerra mondiale, medaglia d’oro al valore militare. Il sacrificio di quest’uomo, in nome dei suoi ideali, non solo aveva influenzato la personalità di mia madre, ma anche me: prendevo coscienza che la guerra non era la strada giusta per risolvere i conflitti politici e che gli uomini dovevano cercare la soluzione ai problemi attraverso il dialogo e la solidarietà. Nel 1975, appena sposato, andai in India per un viaggio di piacere. Colpito dal libro di Pasolini, L’odore dell’India, mi addentrai verso l’interno, entrando nei villaggi, cercando quell’afflato interiore con l’ultimo dei contadini, per capire i loro sentimenti e bisogni, la povertà. Come conseguenza ha lasciato una promettente carriera… La società non sempre aiuta l’uomo a scoprire la propria dimensione spirituale. Predomina la logica produttiva e speculativa. Invece l’utopia è un valore da coltivare in quanto è tutto ciò che non è stato ancora realizzato e verso cui la società deve tendere per migliorarsi. Per questo ho pensato di mettere a servizio dell’India la mia professionalità di ingegnere e tessere le fila per progetti operativi tra India ed Europa. Nel 1988, con don Gennaro Matino, parroco e scrittore napoletano, è nata l’Associazione mondo amico che realizza progetti per l’infanzia… Avevo da poco conosciuto in India sorella Battista e cominciavo a lavorare al sogno impossibile di una piccola diga per gli abitanti di una zona tribale, affinché potessero conservare l’acqua e non abbandonare i loro villaggi. Mi è bastato accennarlo a don Gennaro, perché poche settimane dopo fosse accanto a me e a sorella Battista sulle sponde della diga. Lei ha realizzato a New Delhi il più grande ospedale asiatico per i problemi spinali e a Calcutta la prima università al mondo di comunicazione per lo sviluppo… Quando 15 anni fa cominciammo a parlare di questi progetti ci chiamavano visionari. Ma i tribali e gli altri appartenenti a strati sociali in difficoltà vanno trattati da persone: prima di operare un soccorso bisogna condividere le motivazioni profonde dietro quel gesto, e solo dopo aver capito le loro esigenze attuare in armonia gli aiuti. Per il centro di riabilitazione, la forza e la certezza di quella necessità mi è stata infusa da una grande anima dell’India Major Hari Ahluwalia, tragicamente sulla sedia a rotelle. Ha incontrato due donne speciali: madre Teresa e sorella Battista… Il rapporto con madre Teresa è stato bellissimo. Ascoltava la messa ogni mattina presto nella Cappella della casa centrale di Calcutta delle Missionarie della carità. Alla fine del rito passavo a salutarla. Lei già conosceva i miei progetti, li aveva condivisi e benedetti. Mi chiedeva notizie della mia famiglia mentre mi stringeva le mani. Invece sorella Battista, della congregazione dell’Holy Spirit, la raggiunsi a Nandanagar nel 1986 mentre stava compiendo sforzi per portare soccorsi alle popolazioni stremate per la mancanza di monsoni. In quel giorno è cambiata la mia vita. Da poco avevo intrapreso la strada della produzione cinematografica. Lei mi ha preso per mano e per dieci anni ha guidato i miei passi, facendomi capire la bellezza della solidarietà nel più genuino spirito del Vangelo. È il suo impegno come produttore cinematografico in India? Anche questa esperienza è nata dall’incontro con una persona eccezionale, il regista Goutam Ghose. Con lui ho appreso che l’arte pura ha una grande funzione di riscatto sociale, e non casualmente sono diventato suo amico e compagno di visioni. Il sistema porta l’artista ad aderire spesso a logiche speculative col rischio di perdersi. Se invece è puro, ossia cerca di conservare dentro di sé il dono che ha ricevuto da Dio e di esprimerlo, egli trova interiormente un rapporto che lo avvicina al santo e si esprime non per un’utilità pratica ma perché irrorato da quella luce. Ho sempre pensato che stare dalla loro parte, sostenere il loro lavoro, magari evitando alcuni dei passaggi con il mercato, necessari alla realizzazione di un film, potesse essere importante. Sulla linea Napoli-India… Volevo che gli artisti di questi due Paesi potessero lavorare insieme, proteggendoli dall’assurda logica del mercato. I risultati sono stati: l’India e il velo della conoscenza raccontati in Vrindavan Film Studios di Lamberto Lambertini, l’invito alla pace, al dialogo donatoci dal Dalai Lama in Impermanence di Goutam Chose, l’invito alla gentilezza di Omar Sharif in Fuoco su di me, sempre di Lambertini. Sono film fuori tempo, in quanto forse un po’ in avanti rispetto agli altri.

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