Nel tennis come nella vita

Troppa tecnologia rischia di far scomparire la bellezza?
Roger Federer

Chi gioca a tennis sa che esso è una metafora della vita. Se vuoi conoscere qualcuno, osservalo giocare a tennis, ti dirà tutto di sé stesso. Perché sul campo, solo di fronte all’avversario, non ti puoi nascondere, viene fuori il tuo carattere. Il tennis inizia nel 1874 quando l’inglese Walter Clopton Wingfield ne codifica il regolamento e i ricchi britannici, che hanno tanto tempo da perdere, cominciano a prendersi a pallate al di là d’una rete. Se si va a Wimbledon e si visita il museo delle racchette dai tempi di Wingfield ai nostri, si comprende come i materiali abbiano radicalmente cambiato questo gioco. I nuovi materiali hanno fatto dimenticare le eleganti, fantasiose, quasi danzanti, prestazioni di Panatta, Mac Enroe o Edberg – che sapevano di poesia – per lasciare il campo a potenti picchiatori che da fondocampo, con muscoli e velocità, infilano colpo su colpo con la precisione d’un cannone automatico sparapalle.

 

Eccezione è rimasto lui, Federer, il divo sulla via del tramonto. Al quale David Foster Wallace dedica un appassionato saggio, Roger Federer come esperienza religiosa (Casagrande). La sua è come un’omelia sulla grazia del movimento, sulla «bellezza cinetica» unita alla temeraria fantasia del giocatore, che consente «di riconciliarsi con il fatto di avere un corpo». Intuisce il segreto di Federer: «Una creatura dal corpo che è insieme di carne e, in qualche modo, di luce».

Ora tutta questa bellezza verrà archiviata perché la tecnologia spinge troppo avanti e i corpi devono adeguarsi? Ancora una volta il tennis è metafora della vita. Sulla spinta della tecnologia molti di noi si trasformano in picchiatori che dominano la loro fetta di mondo con possenti topspin dalla linea di fondo. Ma a noi piace ancora sperare di non vedere tramontare i Federer.

 

Non per nostalgia degli scomparsi funamboli del serve and volley nella vita quotidiana. Ma come speranza per il futuro. Perché senza poesia non si va da nessuna parte. «La bellezza salverà il mondo», diceva Dostoevskij. Federer lo conferma.

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