Nel cielo di Chaplin

Come credergli? Eppure in una delle ultime interviste, lui, Chaplin, ha dichiarato di aver cercato nella vita solo il denaro e il piacere delle donne. Lui, che ha commosso il mondo con le sue deliziose mimiche, fatto sussultare di tenerezza cuori di adulti e di piccini, disteso labbra al sorriso, fatto gocciolare lacrime di partecipazione su tante guance. Lui, l’Adamo dal quale tutti quelli del cinema discendono, come diceva Fellini. Lo sappiamo bene: ognuno di noi, pur cercando di celarsi spesso dietro alle parole – nel tentativo di nascondersi agli altri e a sé stessi, di depistare la verità – ogni tanto lascia qualche indizio per giungere al vero. Anche Chaplin. La frase della intervista – così disincantata – voleva lanciare un messaggio. Attenti: non confondete le mie opere con me stesso; non confondete me con Charlot (com’è chiamato in Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallol e Turchia) o con il Vagabondo (com’è chiamato nel mondo anglosassone). Charlot è la mia creazione artistica, io sono un altro. Ed in effetti, lui era un altro. Non condivideva con Charlot la povertà: era sì nato in condizioni di grandi ristrettezze, ma poi era divenuto ricchissimo. Non condivideva con Charlot l’altruismo, la tenerezza verso il prossimo: Chaplin era estremamente egocentrico, e quando non era in preda alla passione creativa, passava lunghi periodi di tristezza che rasentavano la depressione. In tanti artisti, anche grandissimi, la produzione artistica non è sempre un riflesso della vita. Beethoven ha scritto musica sublime, ma aveva un carattere insopportabile; Mozart creava melodie celestiali, mentre era ubriaco fradicio; Cellini intarsiava incredibili gioielli dorati, ma era violento e ne combinava di tutti i colori. L’arte è la forma d’espressione umana che più ci rende vicini al Cielo; ma la vita degli artisti non è sempre uno specchio delle realtà di lassù. Se d’un santo si deve guardare alla vita, d’un artista però si deve guardare alle sue creazioni. Sono esse la sua realtà, esse a legarlo in modo così incomprensibile al Cielo. Nel film Amadeus c’è una frase di Salieri che rispecchia in modo drammatico questa situazione. Salieri – roso dalla gelosia per il successo di Mozart – si rivolge a Dio e gli chiede più o meno così: perché hai permesso a quella scimmia di cantare in modo celestiale la tua gloria, mentre a me che ho sempre voluto innalzare capolavori di musica alla tua Maestà hai concesso un talento così mediocre? Perché? Mai sapremo rispondere a questa domanda. Allo stesso modo, mai sapremo se è di Chaplin o di Charlot- barbiere ebreo la frase al termine del film Il grande dittatore: Io non voglio fare l’imperatore, non è il mio mestiere, non voglio governare né conquistare nessuno, vorrei aiutare tutti se è possibile, ebrei, ariani, uomini neri e bianchi, tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre…. Il rapporto artista-opera d’arte rimane uno dei grandi misteri della vita, del quale riesce a comprendere qualcosa chi ha avuto il privilegio (e si è assunto la fatica!) di vivere accanto ad un genio. Nel caso di Chaplin, è stata la quarta moglie Oona O’Neill, figlia del Nobel per la letteratura Eugene O’Neill, grande scrittore ma rovinato dall’alcol. Di trentasei anni più giovane del marito, si sposò con lui a soli diciotto anni. Oona si dedicò completamente a Chaplin. Con la sua luminosa bellezza, con il suo fascino riservato, seppe vivere accanto al poeta del mimo, ascoltando i suoi tenebrosi silenzi, le sue infantili amarezze, sedendo accanto a lui per ore, tenendogli la mano quando era sopraffatto da un devastante sentimento di smarrimento. Incredibilmente il loro matrimonio fu lungo e, si può ben dire, felice. Ebbero otto figli. Ma poi… anche Chaplin se ne andò. Trent’anni fa raggiunse quel Cielo, del quale – nei suoi film e nelle sue mimiche – ci aveva fatto intravedere così tanti sprazzi. Oona non seppe reagire al colpo. Dopo aver speso una vita accanto a quel grande, si trovò svuotata, senza una meta. Si ritirò dalla vita sociale. Il turpe fantasma paterno dell’alcolismo, allora, si destò e la imbrigliò nei suoi lacci: si diede anch’essa all’alcol e morì di tumore al pancreas a 66 anni. La loro figlia Geraldine Chaplin, che aveva un’altissima opinione della madre, decise di prenderla come modello nella sua interpretazione nel film Il dottor Zivago (1965), dicendo di lei: È stata una donna che ha consapevolmente dato la sua vita ad un artista. Forse solo Oona ha veramente conosciuto Chaplin. A noi non è dato. Ma continuaiamo ugualmente a sussultare alle immortali invenzioni dell’omino dalle maniere raffinate e dalla dignità d’un gentiluomo, con la giacchetta stretta, i pantaloni e le scarpe più grandi della sua misura, l’immancabile bombetta e i baffetti maliziosi. E quell’andatura ondeggiante, la straripante emotività e il malinconico disincanto di fronte alla spietatezza della società. Chaplin poco prima di morire all’età di ottantotto anni, a un sacerdote che gli disse: Possa Dio avere pietà della tua anima!, rispose: Perché no? Dopo tutto, appartiene a lui. Un’ennesima battuta? O l’inchinarsi a una realtà mai intimamente negata? Chissà! Ma un po’ di luce sul mistero di questo artista la getta un fatto, per nulla dipeso da lui. Chaplin è morto nel sonno nelle prime ore del 25 dicembre, all’alba del giorno di Natale.

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