Mounier: attualità di un testimone

Le vite del filosofo francese Paul Ricoeur, deceduto nel maggio scorso, e di Emmanuel Mounier, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, si sono a varie riprese intrecciate pur sviluppandosi secondo piste di riflessione e ricerche diverse. Anche per tale motivo la pubblicazione, per i tipi di Città Aperta, di un fondamentale scritto di Ricoeur sull’attualità di Emmanuel Mounier, grande pensatore cattolico, originale e aperto, sempre alla ricerca di spunti di dialogo con tradizioni culturali differenti, non avrebbe potuto essere più puntuale ed opportuna. Mounier, scomparso prematuramente nel 1950, ha nondimeno lasciato una ricchissima eredità di pensiero e di scelte esistenziali, avendo saputo innestare l’antica tradizione tomista sulle sfide di un secolo in profonda trasformazione. Il suo contributo sul personalismo comunitario ha profondamente influito, in modo forse meno celebrato e visibile di quanto non sia avvenuto per Jacques Maritain, sul rinnovamento del pensiero cristiano e cattolico nei decenni che hanno preceduto la primavera del Concilio Vaticano II. La decisione di Mounier di fondare – rinunciando ad una promettente e comoda carriera universitaria – una rivista (la famosa Esprit) nel 1932, che fosse una palestra di pensiero e di dialogo, ha molto da dirci anche oggi. Come scrive Domenico Jervolino nell’introduzione al volume, l’iniziativa di Mounier era profondamente innovativa rispetto a un certo cattolicesimo tradizionale e borghese, in quanto accettava pienamente il valore della laicità e coinvolgeva nella sua impresa personalità non solo cattoliche, ma anche di diverso orientamento religioso e filosofico (tra cui Lévinas). Ma la testimonianza di Mounier non è stata solo di natura intellettuale: basti pensare al carcere sofferto sotto il regime filo-nazista di Vichy, la sofferenza per la perdita di una figlioletta in tenera età, l’idea di creare una cittadella (nei pressi di Parigi) ove vivere sul serio (con una sorta di pedagogia della vita comunitaria) i princìpi del personalismo comunitario. D’altra parte, lo stesso Mounier soleva ripetere che il personalismo è una filosofia, non un sistema . In altri termini, la relazione con l’altro, con il diverso diviene centrale, pur nel rispetto delle identità, e non può mai essere subordinata a una visione dogmatica o intransigente. Cosa rimane oggi dell’eredità filosofica ed esistenziale di Mounier? Come ha scritto Ricoeur, morto il personalismo, riemerge la persona, cioè la dinamica del soggetto non sterilmente chiuso in sé stesso, ma costruttore di rapporti. L’uomo, suggerisce la ricerca di Mounier, è un complesso intrecciarsi di libertà, valori, storia. Scoprire in sé stessi e nel sociale la dimensione personale e comunitaria è un cammino spirituale, ma è anche un atto rivoluzionario , di critica costruttiva ma non meno radicale degli accomodamenti che ognuno di noi compie, consapevolmente o meno, con categorie individualistiche, consumistiche, razionalistiche. Recentemente, facendo chiarezza su alcuni malintesi del passato, il cardinale Paul Poupard ha affermato che Mounier è stato profondamente cristiano, e profondamente radicato nella chiesa. Non è un caso che, al termine di un qualificato congresso a lui dedicato, tenutosi a Roma nel gennaio scorso, più di 500 intellettuali cristiani abbiano approvato una petizione per chiedere l’avvio della sua causa di beatificazione. Non c’è che dire: un bel regalo ad Emmanuel per festeggiare il centenario della sua avventura terrena.

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