Morti in mare, braccio di ferro tra governo e ong

L’Organizzazione umanitaria Open Arms sfida i divieti e salva i migranti denunciando il comportamento disumano della guardia costiera libica. Risposta durissima del ministro Salvini. Sullo sfondo i campi di detenzione in Libia e la pericolosa mancanza di dialogo, nonostante i tentativi in atto

La ong catalana Proactiva Open Arms ha fatto la scelta di contravvenire all’obbligo di astenersi dall’esercitare operazioni di soccorso in mare (nel senso di non interferire con le competenze affidate esclusivamente alla guardia costiera di Tripoli) arrivando, anzi, a denunciare il comportamento della guardia costiera libica, che, secondo un video della ong, «ha detto di aver intercettato una barca con 158 persone fornendo assistenza medica e umanitaria, ma non ha detto che hanno lasciato due donne e un bambino a bordo e hanno fatto affondare la barca perché non volevano salire sulle motovedette».

Una delle donne è morta assieme al bambino, mostrati nelle riprese assieme al volto sconvolto e incredulo della superstite salvata dai soccoritori. Le notizie viaggiano velocemente ai tempi dei social, così il ministro degli interni Salvini ha prontamente ribattuto con un tweet  di attacco: «Bugie e insulti di qualche ong straniera confermano che siamo nel giusto: ridurre partenze e sbarchi significa ridurre i morti, e ridurre il guadagno di chi specula sull’immigrazione clandestina. Io tengo duro. #portichiusi e #cuoriaperti».

L’intenzione esplicita del governo italiano resta quella di far dichiarare la Libia un luogo sicuro dove riportare nel tempo più breve i migranti irregolari, affidando alla guardia costiera di Tripoli il compito di intercettare le imbarcazioni che partono dalle coste della Libia. La fornitura di nuove navi al governo di Saraj risponde al punto 3 delle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno che ordina a tutte le navi operanti nel Mediterraneo a «non interferire con le operazioni della guardia costiera libica». Il messaggio che si vuole far arrivare a tutti è quello di sconsigliare ogni viaggio in mare verso il continente europeo. Lo ha detto in maniera esplicita il premier ceco Andrej Babis affermando che «l’unica soluzione alla crisi migratoria è il modello australiano, cioè non fare sbarcare i migranti in Europa». Da cui l’equazione, “meno persone in mare, meno morti”. Il problema grave resta la situazione in Libia. I campi di detenzione dei trafficanti sono dei lager ma quelli governativi sono stati denunciati per le condizioni inumane da parte dell’Onu. Senza tralasciare il fatto che nessuna delle fazioni libiche riconosce la convenzione di Ginevra sui rifugiati.

E la scelta di fermare il flusso dei migranti in Africa, in Libia come in Niger rientra tra le scelte compiute dal precedente ministro degli interni Marco Minniti, esponente del Pd che ha riscontrato l’appoggio dell’ex presidente del Consiglio Gentiloni e solo un certo dissenso, poi rientrato, da parte dell’allora ministro Graziano Del Rio. Senza dimenticare il contenuto degli accordi siglati da Berlusconi con Gheddafi, prima della guerra del 2011. Evidentemente non si può andare avanti in questa tensione infinita che rischia di spezzare la corda dei legami sociali.

I tentativi di dialogo come quello proposto dal vescovo di Bologna Matteo Zuppi, di promuovere un dibattito con un esponente leghista del governo, è andato a vuoto per l’indisponibilità della sottosegretaria Borgonzoni di ascoltare le parole del titolare della diocesi felsinea. Tra le lettere pubbliche di scuse al vescovo, preso di mira da pesanti post su Facebook, è emblematica, per capacità di analisi, quella del padre dell’esponente del governo inviata a Repubblica. L’architetto Gianbattista Borgonzoni ritiene che  «accusare le ong di complicità verso gli scafisti e lasciare per giorni  dei profughi disperati in balia del Mediterraneo come potenziale titolo  di scambio, con centinaia di morti affogati nelle ultime settimane, non rappresenti la vera ed umana soluzione del problema. Certamente  le coste italiane rappresentano il confine sud dell’Europa e questa deve farsi carico di un fenomeno frutto  prima del colonialismo storico, quindi delle multinazionali, in tempi recenti della pax occidentale esportata in Medio Oriente, sotto forma di guerre regionali ed infine dei cambiamenti climatici. Non è certamente la linea muscolare della Lega a risolvere una complessa situazione interpretata come bancomat per facili consensi verso una popolazione italiana senilizzata, operativa spesso per asfittiche logiche familistiche e  colpita da una crisi che ha depauperato il proletariato e grandemente i ceti medi, quindi timorosa del futuro e pervasa spesso di idee xenofobe».

Silvio Minnetti ha riportato su cittanuova.it il tentativo di portare anche dentro il parlamento un  sano confronto di visioni a partire da chi vive sul campo i problemi di una reale accoglienza e integrazione. Intanto crescono le iniziative di raccolta di firme nel mondo accademico, sociale ed ecclesiale per chiedere una chiara presa di posizione di contrasto con la linea adottata dal governo Conte.

Sul piano di una lettura alta del momento presente si colloca il discorso del vescovo di Palermo, Corrado Lorefice, pronunciato in occasione della festa di santa Rosalia, un vero e proprio manifesto culturale che chiama in causa le responsabilità internazionali sulla depredazione del continente africano che incute timore per la sua crescita demografica.

Nella lettura dei fatti di questi giorni si colloca, inoltre, il richiamo dell’associazione Medicina democratica all’anniversario della  conferenza internazionale che si tenne a Evian, in Francia, nel  luglio 1938 su iniziativa del presidente Usa Franklin Delano Roosevelt e nella quale 21 paesi decisero di non accogliere ulteriori “quote” di “rifugiati politici” (principalmente ebrei) dalla Germania e dall’Austria naziste. Una coincidenza che fa pensare, come ricorda la pagina di Wikipedia dedicata a questa fase della nostra storia:«Nel corso della conferenza i delegati espressero apertamente la loro simpatia per i rifugiati, ma non presero decisioni in merito all’accettazione nei propri Paesi, tra cui Stati Uniti d’America e Inghilterra. Il delegato australiano sentenziò: “non avendo problemi razziali, non desideriamo certo importarli“. Il delegato francese, invece, affermò che la Francia aveva raggiunto il punto estremo di saturazione riguardo all’accoglienza di rifugiati. La maggior parte delle rappresentative si allineò a questa dichiarazione. L’unica nazione che si propose di accogliere rifugiati ebrei fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 100 mila».

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