Morire di lavoro

Sembra una strage senza fine questa dei morti sul lavoro. L’ultima, che ha scosso l’opinione pubblica, è quella di 4 agricoltori indiani nel pavese

Hanno fatto una morte orribile, annegati nel letame. I 4 morti provenienti dal Kerala indiano dell’azienda agricola con 500 bovini della campagna pavese si aggiungono alla lunga lista di morti sul lavoro. Il loro era un bellissimo esempio di riscatto sociale. Prem e Singh Tarsem, di 47 e 45 anni, di origine sikh erano diventati proprietari di un’azienda usando i risparmi di decenni di lavoro da dipendenti. Avevano rilevato la grande azienda alle porte del comune pavese in via San Rocco: oltre 500 capi, di cui la metà vacche da latte. Gli altri due morti, anch’essi indiani, molto giovani erano dipendenti con regolare contratto.

Uno dei fratelli deceduti aveva detto in un’intervista: «Ho iniziato come mungitore nel Cremonese, non avevo nemmeno 20 anni. Adesso con mio fratello abbiamo una nostra attività. È faticoso, ma ci regala soddisfazioni. Facciamo i turni, ma a moglie e figli non manca nulla: studiano, giocano in paese, sono integrati. Mio figlio grande sta facendo Agraria e poi si iscriverà a Veterinaria. Quest’anno una settimana di ferie ce la meritiamo. Faremo i turni anche per quello: le mucche hanno la priorità!».

Quella delle morti sul lavoro è una strage che investe tutti i settori produttivi, anche se è particolarmente concentrata nelle costruzioni e in agricoltura, oltre che nei trasporti dove, senz’altro, la morte spesso diventa più atroce. Quasi tutte queste morti sono dovute a inadempienza delle norme di sicurezza.

Certamente anche in altri tempi i morti sul lavoro molti, se non di più, ma dopo il bruttissimo 2018 coi suoi 703 morti sul lavoro accertati, il 2019 è avviato ad essere ancora peggio, visto che nel primo semestre sono già stati 462. Le cause sono molteplici. Senz’altro una crisi che non sembra finire e che per alcuni torna più impellente, l’incertezza di uscire dal mercato delle aziende, una forza lavoro spaventata e spesso sotto pressione per paura di non vedersi rinnovare il contratto, fanno saltare molte norme di sicurezza.

Non solo per rimanere sulla cronaca, ma per altre fondamentali ragioni, il settore agricolo sembra essere uno dei settori più esposto per un combinato disposto tra sfruttamento estremo, noncuranza di necessarie norme di sicurezza e spesso mancanza di competenze. Ci sono braccianti che muoiono letteralmente di fatica, stroncati da orari disumani e intollerabili, come il bracciante morto in Campania sotto il sole ai primi di settembre mentre raccoglieva meloni senza neanche uno straccio di contratto, non diversamente da quanto era successo a un’altra bracciante calabrese qualche anno fa. Ma si muore anche schiacciati dal trattore o per disattenzione o imperizia in altri modi e, crudelmente, si può dire in modo “democratico”, senza distinzione tra padroni e dipendenti, specie nelle piccole aziende.

Tra i 4 morti di ieri due erano i padroni e due gli operai, livellati nella morte orribile dalla assenza di misure di sicurezza, dall’imprudenza e probabilmente anche da un estremo atto di solidarietà, se il secondo, il terzo e il quarto sono morti nel tentativo di salvare il primo.

A tutto ciò si aggiunge in questo settore l’inderogabile scelta della sostenibilità anche per la salvaguardia dell’ambiente e della salute alimentare, oltre all’altro inevitabile e inderogabile controllo di tutte le forme di caporalato e sfruttamento sia dei lavoratori italiani che stranieri. La ministra Bellanova, sicuramente indenne dalle critiche beote sui vestiti, ben conoscendo questi problemi, ha davanti a sé un compito difficilissimo.

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