Mio fratello è un dono

Due domenicani imparano le sfumature di quell'amore che genera la presenza del Risorto. Vivere in unità, vedendo l'altro, il prossimo, colui che mi è accanto, nella luce di Dio.
Ermanno Rossi

Vorrei raccontare una particolare esperienza che ho vissuto a Loppiano, cittadella internazionale del Movimento dei Focolari, dove tra il 1966 al 1969 ho insegnato teologia morale all’Istituto “Mystici Corporis”.

Una scuola d’amore

Durante il primo anno rimanevo a Loppiano due giorni la settimana e poi tornavo nel mio convento a Roma. Nei tre anni successivi, invece, mi fu chiesta una maggiore presenza e così restavo cinque giorni.

In quel tempo la cittadella era ancora agli inizi e vivevo in una casetta prefabbricata di legno, dapprima insieme a tre religiosi – due domenicani ed un cappuccino – e poi rimanemmo in due, poiché il padre cappuccino fu eletto provinciale.

Andavo a Loppiano col desiderio di vivere in unità con gli altri due, affinché Gesù fosse presente tra noi secondo la sua promessa: “Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo ad essi” (cf. Mt 18, 20). Era un po’ come riprodurre la vita di Nazaret, quando Gesù era tra Maria e Giuseppe. Noi volevamo, come loro, che Gesù fosse sempre in mezzo a noi, frutto divino del nostro amore reciproco.

Pensavo di essere in grado di vivere la spiritualità dell’unità, a cui avevo aderito da anni. Mi resi subito conto, invece, che quanto possedevo era alquanto teorico, non confrontato con la vita, con le difficoltà concrete che ogni convivenza comporta. Il mio fratello risultò ben presto molto diverso da me.

Ad un certo punto la convivenza divenne così difficile da farmi desiderare la fuga. Fu così che il Signore mi diede la possibilità di iniziare una scuola d’amore. Fu un’esperienza di quattro anni, durante i quali feci i primi passi nella via dell’amore. All’inizio ho creduto, non ho visto; poi ho capito. A Loppiano, con quel fratello domenicano, feci le mie prime scoperte.

La luce

Un giorno – particolarmente difficile – meditavo lungo un sentiero e mi tornò alla mente, all’improvviso, uno scritto di Chiara:

“Chi mi sta vicino è stato creato in dono per me ed io sono stata creata in dono a chi mi sta vicino. Sulla terra tutto è in rapporto di amore con tutto: ogni cosa con ogni cosa. Occorre però essere l’Amore per trovar il filo d’oro tra gli esseri”1.

Era la chiave: quel mio fratello era un dono di Dio per me, aveva un messaggio da parte sua da darmi. Ricordo che quando rimisi piede nella nostra casetta, sentivo dentro di me una luce, una piccola luce, ma era quanto bastava per andare avanti. Adesso occorreva scoprire perché e come il mio fratello era un dono di Dio per me e il messaggio che mi trasmetteva.

La prima cosa che compresi fu che il responsabile della situazione non era il fratello che conviveva con me, ma il mio modo d’amarlo, la mia misura d’amore. Capivo che avevo bisogno di allargare il mio sguardo, di non avere preconcetti verso l’altro, di accoglierlo pienamente, di “farmi uno” con lui, dimenticando me stesso.

L’amore sarebbe stato vero se avessi accettato il fratello come era, se lo avessi lasciato libero. Per lui ho perduto, pur senza rendermene conto, la mia costruzione ideale della spiritualità dell’unità, i miei schemi.

Una vera ginnastica

Si trattava di una vera ginnastica. La Parola di vita di ogni mese, una frase della Scrittura che si cerca di approfondire e di vivere in tutto il Movimento, mi aiutò molto, perché riuscivo a fare un passo alla volta.

Amare il fratello senza riserve comportava anche la conseguenza di non attendermi nulla: dovevo solo dare. Le occasioni non mancavano. In quel tempo io viaggiavo molto. Appena arrivato nella nostra casetta, anche se ero stanco, andavo in cucina e cominciavo a preparare il pranzo, e naturalmente anche a preparare bene le lezioni.

La cosa più difficile fu amare il fratello nella verità. Capii che era possibile amare nella verità – fare cioè la correzione fraterna – solo quando avrei amato il fratello fino in fondo. Cercai di amarlo, allora, in modo che egli se ne accorgesse e che non avesse la possibilità di dubitarne, fino ad esser pronto a dare la mia vita per lui. Su questa base allora potevo parlare, chiedere tutto, perché ormai egli era una cosa sola con me.

Mi accorsi, inoltre, che dovevo aver pazienza, saper attendere, avere occhi nuovi con i quali vedere il fratello come lo vede Dio, nel suo disegno, nel suo dover essere.

Un giorno mi disse: “Ermanno, non ti avrei mai scelto per moglie”. Gli risposi: “Eppure, il Signore, per fare questa esperienza, ha preso te dal nord della Francia, me dal sud dell’Italia. Verrà un giorno che arriveremo a fare unità. Allora il Signore ci separerà e tu verrai a cercarmi là dove mi trovo perché ritorni da te”. Fece un gesto come per dire: “Impossibile!”.

Ma fu proprio così. Riuscimmo a realizzare un bel rapporto di unità. Passati quattro anni, il Signore ci separò. Io fui chiamato a Roma, perché nasceva la Segreteria Internazionale dei Religiosi aderenti al Movimento dei Focolari. Mi fu affidato il compito di seguire i religiosi sparsi nell’Europa e per altri quattro anni viaggiai per tutto il continente.

Vissi un’altra esperienza meravigliosa. Ho visto fiorire tante vocazioni, alcune comunità e qualche Famiglia religiosa rinnovarsi. Poi fui richiamato a lavorare nella mia provincia che aveva bisogno di me.

Nel frattempo, il mio fratello domenicano è venuto più volte a cercarmi, là dov’ero, con la nostalgia e il desiderio di riprendere quella esperienza di unità, ma ormai la cosa non era più nei piani di Dio.

 

NOTE

1 C. Lubich, in La dottrina spirituale, Roma 2006, p. 142.

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