Mio figlio si droga

Il percorso di Corrado ed Isa Galluzzi, dalla disperazione per il figlio morto per overdose all’impegno in una associazione di genitori che vivono le stesse problematiche
Foto San Patrignano

La vita riserva, talvolta, prove molto difficili da affrontare. La malattia, la sofferenza, la perdita di un proprio caro. Corrado ed Isa Galluzzi, pisani, sposi da 50 anni, hanno infatti perso, dieci anni fa, Riccardo, un figlio di 40 anni, strappato loro dall’eroina. Già prima della sua morte, si sono offerti per un’urgente missione: adoperarsi in associazioni contro la droga, fare prevenzione nelle scuole superiori, dare testimonianza nelle carceri.

«Tutto è cominciato verso i 16 anni di Riccardo» ci dicono per telefono. «‹Era un ragazzo intelligentissimo ma anche fragile. Frequentava l’Istituto Tecnico Industriale e come tanti suoi coetanei ha preso a provare i primi spinelli. A quel tempo si parlava poco di questi argomenti e non se ne comprendeva bene la gravità».

«Eppure la situazione è subito degenerata»› ci dice Corrado,  «‹da uno spinello al mese è passato a fumarne più frequentemente. Il suo rendimento scolastico è andato sempre peggiorando, tanto che ha lasciato la scuola per abbracciare la carriera militare».

«Ci auguravamo che almeno in caserma avrebbe trovato rigore, disciplina, ma ci sbagliavamo››, aggiunge Isa.

A Viterbo, dove frequenta la scuola per sottoufficiali di artiglieria, Riccardo nei momenti di libera uscita conosce infatti l’eroina: «‹Merito anche di una ragazza sbagliata con una famiglia socialmente patologica che ha peggiorato la situazione.  Ma ha voluto sposarla lo stesso»›. Fa seguito un matrimonio fallito, i loro piccoli bimbi vengono affidati ai nonni. Riccardo va in carcere e cerca almeno per tre volte di uscire dal tunnel grazie a una comunità di recupero. Ma le cose non migliorano di tanto. Dieci anni fa, lasciando l’ultima comunità per tornare, almeno per un giorno a casa, incontra alla stazione ferroviaria di Pisa un pusher. Morirà a 40 anni, per overdose. Durante l’esperienza della tossicodipendenza i Galluzzi (prima ancora che il figlio morisse) hanno sentito la necessità di confrontarsi con altri genitori e hanno fondato, insieme ad altre sei famiglie, nel ’92, l’associazione “Gruppo Il Ponte di Pisa” (oggi presente anche a Cecina e Grosseto) collegata con la comunità di San Patrignano.

«Non avevamo allora, come ora, alcun aiuto economico» spiega Isa: «Ma persuasi che da soli, ragazzi e genitori, non riescono ad intraprendere alcun percorso di terapia e rieducazione, abbiamo chiesto aiuto al nostro parroco. E questi ci ha concesso di usare una stanza per accogliere i genitori e i ragazzi. Quest’anno saranno 25 anni che abbiamo cominciato quest’avventura e al momento stiamo seguendo 60 famiglie». Con quale obiettivo? «Il nostro intento è quello di aiutare, con colloqui motivazionali, a comprendere se questi giovani – tossicodipendenti in stato di libertà – si sentono di entrare a San Patrignano e di partecipare alla vita di comunità fatta di giochi, studio ma anche regole e doveri».

«Qualora non fossero pronti per San Patrignano li indirizziamo a “Nuovi Orizzonti”» chiarisce Corrado.

E i genitori in questo tram-tram che fanno? «I genitori partecipano ai gruppi di auto-aiuto, ricevendo informazioni scientifiche e il supporto delle testimonianze degli ex-tossicodipendenti. Continuiamo a seguirli anche quando i loro figli entrano in comunità, perché se il ragazzo cambia anche loro devono cambiare. Si rendono infatti conto degli sbagli fatti nei confronti del figlio, come nel rapporto di coppia. Equilibri delicatissimi che necessitano di tantissima cura. Molti dei genitori formati diventano a loro volta poi operatori».

Abbiamo cercato di tirare, coi coniugi Galluzzi, le somme di questa loro esperienza, a beneficio dei lettori. «In tanti anni di accostamento ai giovani con problematiche correlate con la droga abbiamo capito» hanno affermato all’unanime «che le dipendenze sono correlate alle emozioni, ai sentimenti, alle relazioni. Cambiano i tempi e cambiano le modalità d’inizio conoscenza delle sostanze stupefacenti. Lo spinello (dal 1° che fanno) deve essere però sicuramente il campanello d’allarme sia per i genitori che per gli insegnanti per intervenire.  La famiglia può  tornare ad essere meno frenetica e liquida nella vita dei propri figli».

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