Migranti e moda etica

La cooperativa sociale Lai-momo e l’International Trade Centre delle Nazioni Unite lanciano corsi di formazione in moda etica e design per richiedenti asilo provenienti dall’Africa. Obiettivo: creare lavoro nei Paesi di origine

Imparare un mestiere e metterlo a frutto nel proprio paese di origine: è questo l’obiettivo del progetto pensato dalla cooperativa sociale Lai-momo e da Ethical Fashion Initiative, il programma dell’International Trade Centre delle Nazioni uniti.

Così un anno fa è stato aperto il primo centro di accoglienza e formazione a Marzabotto (Bologna), dove ad un gruppo di richiedenti asilo viene data la possibilità di formarsi nell’ambito della moda etica e del design. Si tratta principalmente di giovani immigrati, provenienti dal Pakistan, Senegal, Bangladesh, Guinea e Burkina Faso, in attesa del permesso di soggiorno, che nel centro possono ricevere assistenza e seguire corsi pluriennali di formazione professionale.

L’obiettivo è di creare professionisti che, in caso di rientro nel proprio paese, possano sfruttare le competenze acquisite per trovare un lavoro dignitoso o divenire piccoli imprenditori e a loro volta creare posti di lavoro. La maggior parte dei richiedenti asilo scappa dal proprio paese a causa della guerra e della povertà, ma sono in molti quelli che, se ne avessero le possibilità, tornerebbero a casa. Per questo il progetto mira a creare prospettive di lavoro nei paesi più poveri e permette ai giovani di tornare in patria con delle qualifiche e la possibilità di essere inseriti in un programma di lavoro.

L’idea nasce dall’incontro tra Lai-momo e Ethical Fashion Initiative nel gennaio 2015, quando a Pitti alcuni richiedenti asilo africani hanno sfilato accanto a modelli professionisti durante la sfilata Generation Africa. Il programma delle Nazioni Unite, attivo dal 2009, cerca di mettere in contatto i talenti mondiali della moda e i piccoli imprenditori locali provenienti dall’Africa orientale e occidentale. Nomi come quello di Vivienne Westwood e Stella McCartney sono stati tra i primi a spostare parte della filiera produttiva in Africa e ad Haiti dando la possibilità, principalmente alle donne, di accedere ad un lavoro correttamente retribuito. È infatti l’ONU a controllare che vengano rispettati tutti i diritti del lavoratore e che non ci sia alcun tipo di sfruttamento.

Un progetto che può diventare un esempio, perché creare lavoro nei paesi di origine di chi scappa, vuol dire rimettere in circolo l’economia e dare la possibilità alle nuove generazioni di costruirsi un futuro dignitoso.

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