Migliorare l’ambiente facendo comunità

Possono incidere i rapporti sociali nella tutela del creato? E quale legame può esserci tra ecologia e contrasto della povertà? Se ne parla a Loppianolab
scaglie di plastica lavorate dall'azienda Erreplast di Antonio Diana

Come conciliare un’idea di sostenibilità economico-ambientale del mondo del lavoro e dei consumi, con il contrasto alla povertà? È il quesito di fondo del forum svoltosi nell’aula magna dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano

 

L’appuntamento nel pomeriggio di venerdì 30 settembre ha visto quali relatori Antonio Diana, presidente della D&D Holding e della Fondazione Mario Diana, e Maurizio Pallante, fondatore e presidente onorario del Movimento per la Decrescita Felice, in un confronto coordinato da Luca Fiorani, ricercatore Enea presso l’Università di Roma Tre.

 

«La mia esperienza personale non è nient’altro che lo svilupparsi di un’idea: la volontà di costruire un modello aziendale e un contesto imprenditoriale tra fiducia, dignità del lavoro, rispetto dell’ambiente e visione innovativa delle opportunità», ha spiegato Diana. E chi meglio dell’imprenditore casertano, il cui padre Mario fu ucciso dalla camorra nell’85 quando Antonio e il fratello gemello Nicola erano appena diventati diciottenni, potrebbe offrire una testimonianza diretta rispetto alle opportunità di creare valore attraverso una gestione aziendale fondata sull’etica ambientale e del lavoro? Con 45 milioni di euro di fatturato e 200 dipendenti nelle 7 aziende sotto la sua responsabilità, Diana rappresenta un modello di speranza per tanti imprenditori, ma non solo.

 

«Sono cresciuto col presupposto che siamo fatti per costruire una comunità – ha specificato Diana: sapete quanto negli scorsi anni abbiamo subito un’emergenza rifiuti in Campania, ma siamo sul territorio a fare impresa per rispondere a un fabbisogno e lo facciamo per il bene comune. Su questo vorrei mettere – spiega – che non abbiamo un direttore del personale che preveda obiettivi di produzione né un sistema di timbratura del cartellino, perché chiediamo alle persone l’impegno in coscienza per una missione che va oltre il semplice rapporto da dipendenti stipendiati: le persone, il nostro capitale aziendale, vengono e se ne vanno quando reputano secondo coscienza, in una logica di rapporto strettamente fiduciario ben più ampia di quella di un rapporto formale».

 

Garantendo onestà e impegno e trovando lo stesso nella collaborazione degli operatori assunti in crescendo negli anni, Antonio e Nicola Diana hanno dato vita con altri fedeli collaboratori, nel 2013, alla Fondazione Mario Diana, in onore del padre, al fine di coniugare la potenzialità dell’utile economico con gli interessi di carattere sociale, «perché se anche questa terra mi ha ferito e mortificato sento il dovere di restituire qualcosa, come se avessi un debito di riconoscenza nei suoi confronti».

 

Più di ampio raggio teorico la profonda riflessione di Maurizio Pallante, che ha premesso come “decrescita” sia un concetto spesso non capito: «Non parliamo di diminuzione qualitativa ma solo quantitativa – ha precisato – Perché decrescita deve essere concetto negativo e crescita sempre positiva? Perché viviamo in una società mercificata. Ma siamo convinti che vi sia una differenza fondamentale: quella tra beni e merci. Quello che ci serve effettivamente sono beni, quello che compriamo sono merci», ha sottolineato, ribadendo una differenza concettuale e logica.

 

«Chi non sa fare niente deve comprare tutto e fa crescere il Pil ben più di chi sa fare cose: quando gli esseri umani fanno cose con le mani ad esempio, bisogna attivare cervello e corpo per uno scambio di informazioni. Non sapere fare più niente è impoverimento», spiega. «Tutte le volte che si parla di ricchezza e povertà si pensa alle differenze di reddito, ma in realtà si tende a misurare così una povertà finalizzata ad acquisto di merci. Se invece avessimo la capacità di avere beni o fabbricarli, anche avendo meno soldi, saremmo in realtà più ricchi di beni anziché di merci, un prodotto consumistico».

 

«Per fare un esempio – continua – chi produce calore può chiudere la disponibilità del bene a chi lo acquista, anche se il potenziale compratore ha molti soldi. Così quest’ultimo rischierebbe di restare al freddo, perché non potrebbe scaldarsi con il denaro… Nel Mediterraneo sappiamo bene questo concetto da 3000 anni, avendo conosciuto il mito del Re Mida», precisa. Cum-Munus (dono condiviso in latino) è pertanto la radice del termine comunità, all’interno delle quali spesso le divisioni sono causate dal denaro, ricorda Pallante parafrasando papa Francesco. «Certo – conclude – esistono beni che si possono avere solo come merci, come una risonanza magnetica, e il denaro è necessario ma si può ridurre, senza contare che vi sono poi beni relazionali come la fiducia, l’amore o il rispetto che non si comprano».

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