Menozzi, la guerra e sua legittimazione

Le questioni aperte dal dibattito sulla guerra in Ucraina a oltre 100 anni dal primo conflitto mondiale. Intervista a Daniele Menozzi, il decano degli storici del cristianesimo, professore emerito della Normale di Pisa
Foto Guerra. Esercitazione della Nato (Csaba Krizsan/MTI via AP)

Oltre le analisi di militari ed esperti di geopolitica il divampare della guerra in Ucraina pone una questione specifica per la coscienza di tutti, e dei cristiani in particolare, davanti alla fornitura e uso delle armi. Sotto l’incalzare degli eventi siamo tornati, perciò, a interpellare Daniele Menozzi, tra i più autorevoli storici del cristianesimo, professore emerito della prestigiosa Scuola Normale Superiore di Pisa ed autore di testi fondamentali come quello edito da Il Mulino nel 2009 su “Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso una delegittimazione religiosa dei conflitti”.

Nella legittimazione della guerra e quindi dell’invio di armi all’Ucraina si ricorre, oggi, anche agli scritti di Emmanuel Mounier e Jaques Maritain, figure cardine del personalismo cristiano. Cosa ne pensa?
Penso che l’assenza di conoscenze storiche, in generale e in particolare in ordine allo svolgimento dell’insegnamento del magistero sui temi della guerra e della pace, sia uno dei più consistenti limiti del dibattito interno al mondo cattolico sull’atteggiamento verso la guerra in Ucraina. Riesumare Mounier e Maritain, che hanno scritto prima della svolta della “Pacem in Terris” – in cui si trova chiaramente indicato come lo sviluppo delle armi ABC (atomiche, batteriologiche e chimiche,ndr) costituisca una svolta epocale nella giustificazione etica della guerra – rappresenta un’operazione ideologica. Impedisce, infatti, di affrontare il problema vero: la difficoltà di applicare la teologia della guerra giusta, anche per quanto riguarda la difesa da un’aggressione, alla situazione che i nuovi strumenti di morte hanno determinato.

Ma non è proprio il mancato invito a non obbedire agli ordini di uccidere a perpetuare la storica contraddizione tra gli inviti alla pace rivolti ai capi delle nazioni e l’obbedienza chiesta comunque ai cristiani davanti alla guerra, giustificata o meno che sia?
Mi pare che Francesco abbia introdotto una distinzione: nella condizione di complessità del mondo attuale non si possono fornire indicazioni generali valide per tutti, in ogni tempo e in ogni luogo. In Ucraina tocca alla coscienza dei credenti – dunque non all’obbedienza agli ordini delle autorità – valutare gli strumenti da mettere in atto davanti all’aggressione, perché solo loro hanno adeguate informazioni. Il ricorso alla resistenza armata costituisce una delle possibilità che rientrano in questo schema. Al di fuori dell’Ucraina vale ancora meno il criterio della sottomissione agli ordini del potere. Qui si tratta invece di vedere come è possibile applicare l’indicazione ricavabile dal Vangelo nella situazione della violazione del diritto internazionale compiuta dalla Russia: resistere al male senza ricorrere agli strumenti del male. Tocca alle comunità ecclesiali a livello planetario individuare questo percorso. Non è facile, ma si può dire che, di fronte a questa linea, i cattolici, in particolare quelli italiani, si baloccano ancora con il comodo richiamo a Mounier e Maritain…

L’Italia andrà ad approvare il nuovo concetto strategico della Nato nell’incontro previsto tra i 30 Paesi di fine giugno a Madrid senza un vero dibattito parlamentare, e nella società, su scelte decisive per il nostro Paese. Come si spiega questo tabù nei confronti della Nato, soprattutto per i cattolici che nel dopoguerra avevano espresso delle resistenze verso questo tipo di alleanza egemonizzata dagli Usa?
Le esigenze del Vangelo che il papa esplicita debbono essere applicate con responsabilità all’attuale ordine internazionale. La situazione è diversa dal secondo dopoguerra: allora i cattolici più lungimiranti non riuscirono a collocare l’Italia in una “terza via” tra Nato e Patto di Varsavia per affermare che la pace costituiva il valore cui credevano. Le cose sono andate così. Il crollo del comunismo non ha cambiato sostanzialmente il quadro geopolitico. Oggi non si può abbandonare la Nato immediatamente, ma si può operare perché non diventi più necessaria: l'”abbaiare” ai confini della Russia (citazione dell’espressione usata da Francesco nell’intervista al Corsera del 2 maggio, ndr) non rientra evidentemente in questo schema. Distinguere tra l’uso politico della Nato da parte degli Usa e la costruzione di un sistema di sicurezza europeo che renda inutile la Nato è un passaggio decisivo, ma assai poco praticato dal mondo cattolico.

 

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