Mattia, il pennello e la spada

A Taverna, patria di Mattia Preti, per l'evento artistico culturale dell'anno in Calabria. Confronto tra il grande pittore del Seicento con un altro genio dell’arte barocca: il Guercino

Amava raffigurarsi in abito da cavaliere dell’Ordine di Malta, cipiglio fiero e nella destra il pennello e la spada insieme: due “armi” con cui affrontò le sfide della vita. E in effetti fu provetto spadaccino e ancor più abile pittore, il più grande che sia mai nato in terra di Calabria. Tuttavia, ultraottantenne alla fine di una folgorante carriera artistica, dopo aver disseminato l’Europa intera di suoi capolavori, scelse di farsi seppellire col solo pennello: temperamento collerico, facile ai duelli, aveva rinfoderato quella spada che a Napoli gli aveva procurato quasi una condanna a morte quale reo di omicidio.

Per lui il detto «Chi di spada ferisce, di spada perisce» sembrò avverarsi nel 1699, anno della sua morte a La Valletta (Malta) per una cancrena causatagli da una “mini-spada”: il rasoio col quale il suo barbiere di fiducia gli aveva maldestramente tagliato un porro! Ecco chi era Mattia Preti detto “il Cavalier calabrese” (onorificenza conferitagli da papa Urbano VIII), uno tra i più talentuosi seguaci di Caravaggio, anzi – a detta di Vittorio Sgarbi – «il più caravaggista dei caravaggisti», dotato di uno spiccato gusto teatrale, ma che nei suoi soggiorni romani e napoletani era stato influenzato anche da protagonisti del barocco come Lanfranco, Domenichino, Pietro da Cortona, Guercino, Ribera (soprattutto dagli ultimi due).

Vado a incontrarlo a Taverna, la cittadina tra i monti della Sila piccola catanzarese che gli diede i natali nel 1613 ed ora custodisce numerose sue opere nelle chiese di Santa Barbara e San Domenico e nel Museo civico (notevole anche per le collezioni di sculture, bozzetti, disegni, dipinti del Sei-Settecento napoletano e di artisti calabresi, fra cui Gregorio Preti, il fratello maggiore e primo maestro di Mattia, ma anche di moderni): un vero “museo diffuso” in questo comune di neanche 3 mila abitanti dove un monumento bronzeo lo raffigura ancora non appesantito dall’età, con la tavolozza e il pennello, i mustacchi e lo sguardo all’insù come in cerca d’ispirazione.

L’occasione è la mostra Guercino e Mattia Preti a confronto: la nuova linea dell’arte barocca. Curata dal locale Museo civico, che proprio in questo 2017 festeggia i 25 anni di attività, per la prima volta presenta in Calabria l’opera di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666), il pittore emiliano che tanto rilievo ebbe nella prima formazione del suo collega tavernese. L’esposizione, visitabile fino al 16 novembre nei locali dell’ex monastero di San Domenico, sarà poi riproposta a Cento, paese natale del Guercino, con la trasferta di alcune importanti opere del Cavalier calabrese, che comunque fu attivo anche in Emilia Romagna, dove affrescò la cupola della chiesa di San Biagio a Modena.

Tra le otto tele e i sei disegni del Barbieri provenienti dalla Pinacoteca civica centese, almeno due capolavori vanno citati. Il monumentale San Giovanni Battista nel deserto (1650), che celebra la figura idealizzata del precursore di Cristo: avvolto in un manto rosso presagio di martirio, è ritratto nella cornice di un’ampia caverna aperta verso un paesaggio che mostra un cielo azzurro. Col braccio destro alzato indica il cielo, col destro regge un’asta sormontata dalla croce. Nient’altro intorno, neanche l’agnello o i cartigli che solitamente completano la scena. È il testimone che predica in solitudine col suo stesso essere. E poi Cristo risorto appare alla Madonna (1629), opera di transizione tra il più cupo Guercino “romano” e quello della fase “classicista”, orientata alla grazia e delicatezza tipiche della pittura di guido Reni: una costruzione piramidale, dove le bellissime figure giovanili di Cristo e di Maria (la tenerezza del Figlio che china gli occhi sulla Madre, la trepidazione di lei mentre avvicina la mano al corpo ferito di lui) emergono dal gioco dei panneggi. È una scena intima, che vive di sguardi, di silenzi in cui sembra di avvertire solo il fruscio delle stoffe.

Riprendo il filo di Mattia. Superbo è il San Girolamo penitente prestato dalla Banca di Credito cooperativo della Sila Piccola, alle cui collezioni appartiene. Sullo stesso tema esistono al mondo solo pochissimi esemplari di sua mano: ciò che rende ancora più prezioso questo dipinto attribuito all’ultimo periodo della vita dell’artista, quello del soggiorno maltese. Il santo, ripiegato in posizione trasversale per leggere la Sacra Scrittura, si percuote contemporaneamente il petto con una pietra, investito da una luce dall’alto che estrae dalle ombre la possente sua muscolatura. Gli stessi colori saturi e caricati sottolineano il temperamento violento del grande padre e dottore della Chiesa col quale Mattia doveva sentirsi piuttosto in sintonia.

Dopo esserne partito per iniziare altrove l’apprendistato (è consuetudine secolare lo sciamare di calabresi fuori della loro terra!), Mattia fece rare comparse a Taverna, ma mai dimenticò il paese natale: lo dimostrano le pale d’altare di cui ebbe commissione, opere inviate direttamente da Malta, dove carico di onori attendeva ad una intensa e stupefacente attività artistica. Non solo: una volta insignito del cavalierato, poté permettersi di dotare una propria cappella nella chiesa di San Domenico: fu la sua rivalsa al rifiuto patito nel 1605 dal padre Cesare, che non aveva potuto accedere allo status di nobile a causa della insufficiente ricchezza.

Sull’altare disegnato dallo stesso pittore campeggia la tela raffigurante il suo santo patrono, Giovanni Battista, in atto di predicare: lo stesso soggetto del Guercino in mostra. È interessante il confronto: qui il precursore è più rude e vigoroso, quasi roccioso come le rocce a cui appoggia la sua figura caravaggesca. Anche lui alza il braccio destro a indicare il cielo, mentre col sinistro regge il solito bastone con la piccola croce. Ma non è solo come il Battista del Guercino: in alto un angioletto mostra l’invito a pentirsi scritto su un cartiglio; e in terra, sul lato destro, uno simile abbraccia un piccolo agnello, a sottolineare l’Ecce Agnus Dei del cartiglio sulla croce del santo. Che anche qui indossa sull’abito di pelli un manto rosso simboleggiante il martirio; rosso che richiama quello della tunica da cavaliere (segno di martirio in difesa della cristianità) con la quale Mattia Preti si è ritratto nel margine destro della pala con tanto di pennello e di spada.

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