Marino e Juliette su binari paralleli

Un poeta-scrittore e la sua traduttrice francese: storia di un’amicizia al limite dell’eroismo
Marino

Anni fa, per un’intervista, capitai a Cesenatico, la bella cittadina romagnola sorta come scalo marittimo quando Cesena, nel XIII secolo, estese il suo dominio fino alla costa adriatica. Lungo il porto-canale disegnato da Leonardo da Vinci, passeggiata preferita dei turisti, ammirai ormeggiati alcuni “trabaccoli” con le loro coloratissime vele. Diretto al bellissimo Museo della Marineria, che con le varie tipologie di imbarcazioni a vela e a motore illustra in maniera attraente il rapporto dell’uomo con il mare, feci appena caso, affacciata sul canale, alla casa-museo di Marino Moretti, lo scrittore e poeta locale morto nel 1979, di cui ricordo E l’ore… l’ore non passavan mai! all’epoca dei miei anni scolastici, ignorando peraltro tutto di lui.

Oggi l’autore della Vedova Fioravanti e delle Poesie scritte col lapis m’è diventato familiare come se l’avessi conosciuto di persona. A rendermelo tale è stato l’amico Pasquale Lubrano Lavadera col suo ultimo romanzo Ritrovarci nella Brasserie Lipp, edito da Iod. E insieme a lui ho fatto conoscenza con la sua carissima amica e traduttrice francese Juliette Bertrand. Entrambi, i personaggi principali di questa che a me è sembrata l’opera più riuscita e matura di Pasquale, certo per la comunanza di interessi, sentimenti e idealità con loro; un’opera che – a lettura conclusa – mi ha “abitato” per diversi giorni con le vibrazioni suscitate in me come quei cerchi concentrici creati da un sasso buttato in uno stagno.

La trama è presto detta. Alla notizia della morte di Juliette, nel 1973, l’autore romagnolo rievoca l’esperienza vissuta con colei che ha fatto conoscere e apprezzare in Francia le sue opere: dal primo incontro a Parigi nel 1925 nella Brasserie Lipp, famosa birreria che ha segnato altri momenti salienti del loro rapporto amicale, alle ripetute discese di lei a Cesenatico e infine nell’isola di Procida, dove nel suo pied-à-terre fra il verde dei giardini e il mare, in un luogo selvaggio e isolato, Juliette ha trascorso diverse estati in compagnia di Caterina, una giovane isolana di cui si è presa cura.

Questo frequentarsi di due personaggi così diversi – Marino credente, timido, appartato, orgoglioso; Juliette agnostica, vivace, volitiva e impegnata a valorizzare l’arte di lui – ha alimentato, insieme all’assiduo scambio epistolare, un’amicizia che, resistendo agli inevitabili momenti di crisi e al vaglio del tempo, permette loro, giunti ormai all’età del tramonto, di superare le ultime battaglie della vita: a lei, l’ostracismo culturale di cui è fatta oggetto in Francia dai più giovani colleghi; a lui, la senile malinconia che lo blocca, rinnovandogli anzi la vena poetica da tempo abbandonata per privilegiare la narrativa. Per entrambi, quel sodalizio ha rappresentato l’esperienza più appagante della loro esistenza, capace di alimentare fino a tarda età quella giovinezza dell’anima che si esprime in slancio e creatività.

Attorno ai due ruotano le vite di altri scrittori e letterati italiani, con i quali pure sono nate amicizie sincere: fiore non facile a svilupparsi in un terreno dove spesso prosperano invidie e ipocrisie. Primo fra tutti, Aldo Palazzeschi, e poi le nuove leve di autori rappresentate da Gino Montesanto, Dante Arfelli ed Enrico Pannunzio, ai quali Moretti fa da padre e maestro.

È un romanzo sull’amicizia, quella vera, che non può nascere se non nella gratuità e nel “perdersi per l’altro”, in quanto spesso richiede eroismo: come quello di Juliette, da sempre innamorata di Marino che però non può corrisponderle a causa della sua “diversità” di omosessuale. Un romanzo sui luoghi, che condizionano e modellano gli animi di chi vi si abbandona con spirito contemplativo: Parigi, Cesenatico e infine Procida (stupende le pagine che l’autore, procidano, riserva a questa sua diletta isola riscoperta attraverso gli occhi dei due). E anche un romanzo sul valore dello scambio epistolare, motivo di riflessione in questo nostro tempo di rapidi e spesso troppo effimeri rapporti affidati al digitale.

Del resto, senza la conoscenza dei carteggi intercorsi tra Moretti, Palazzeschi e Juliette, Lubrano non sarebbe stato stimolato a scrivere questo romanzo che, non a caso, si conclude con il ritrovamento, da parte di Moretti, della minuta di una lettera di Juliette a lui mai spedita, che inizia con: «Caro Marino, la nostra vita corre ormai su binari paralleli…»; quasi uno sguardo retrospettivo su «un’amicizia provata ma rinata sempre con maggiore vigore». E continua: «Possiamo ben dirlo: l’amicizia è vera se accoglie in sé anche quello che dell’amato non abbiamo scelto, che ama anche l’ombra, la tristezza, il dolore e il limite, la diversità…».

E proprio questa lettera, ultimo dono a lui della Bertrand, il vecchio scrittore e poeta utilizzerà nel finale del libro che va scrivendo.

Data la mole di documenti consultati da Lubrano, non si pensi a Ritrovarci nella Brasseria Lipp come ad un’opera di saggistica. La storia c’è (guerra e dopoguerra), i cambiamenti culturali determinati dal tempo che scorre ci sono, ma come sullo sfondo (vedi, ad esempio, le considerazioni dei due stagionati protagonisti sui “capelloni”, così diversi dai giovani del loro tempo). No, è soprattutto un romanzo di sentimenti nel quale non manca, afferma l’autore, «quella libertà dell’invenzione che amplifica situazioni, eventi, particolari anche minimi» e rende il racconto più lieve e incisivo: risultato di una immedesimazione nei personaggi tale da lasciare un po’ di sé tanto nell’uno quanto nell’altro.

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