Aiello Calabro, estate 1942 – «Mariella, dove vai? Lì c’è pericolo di perdersi!». Niente da fare. Maria, anzi Mariella come veniva chiamata, sei anni, incurante dei richiami di mamma Clara, davanti a due sentieri, uno dei quali noto, l’altro mai percorso, cosa aveva scelto? Il secondo, naturalmente. «Dai, vieni anche tu, fifona – disse alla cuginetta –, non ci succederà niente di male».
Sì, perché Mariella per natura era fiduciosa e ottimista. Per natura… ma da dove le venivano quella fiducia e quell’ottimismo? Indubbiamente dall’essere nata in una famiglia unita: grazie a mamma Clara e a papà Luigi, sia lei che era la primogenita, sia gli altri figli (in tutto sarebbero diventati cinque sorelle e due fratelli) avrebbero avuto sempre la certezza di essere amati di un amore la cui fonte era il Padre celeste.
Figurarsi se genitori così non erano stimati e benvoluti in paese! Ancora oggi i più anziani ad Aiello Calabro ricordano il dottor Luigi Voce (era medico) prestare gratuitamente la propria opera ai più poveri e non disdegnare di cavalcare un asinello per raggiungere chi, nelle zone più distanti, poteva aver bisogno del suo aiuto.
Caro papà… da tempo Mariella non lo vedeva perché, richiamato alle armi in quel tempo di guerra, non era ancora ritornato. Ora Mariella e i suoi, da Napoli, dove anni prima si era trasferita la famiglia, erano tornati nel Cosentino, al loro paese natale, ospiti nella grande casa di nonno Gaspare e nonna Luigina.
Ogni tanto la bambina s’immalinconiva pensando al papà lontano. Ma la sua indole allegra aveva presto il sopravvento, e allora trascinava altre compagnette nei giochi semplici e innocenti della loro età. C’era sempre così tanto da scoprire, da inventarsi! Per esempio – visto che a Mariella il coraggio non mancava – fare le “esploratrici” nella giungla, in realtà il bosco che circondava l’altura su cui sorgeva Ajello.
«Vieni, fifona!» aveva detto alla cuginetta, mentre gli altri parenti sostavano sotto gli alberi dopo il picnic sull’erba; e senza indugio s’era inoltrata in quel sentiero che, per essere piuttosto selvaggio e ingombro di vegetazione, dimostrava di essere poco praticato dalla gente del posto. Camminavano, le due bimbe, tenendosi per mano, rompendo il silenzio del bosco con le loro grida scherzose (l’allegria di Mariella aveva contagiato anche la fifona), immaginando ora di essere dirette verso chissà quale terra sconosciuta, ora di veder spuntare dietro qualche cespuglio qualche folletto barbuto dal cappuccio a punta.
Il sentiero costeggiava a tratti il fiume Oliva, di cui si udiva il mormorio come una voce amica. «Ascolta! – disse Mariella alla compagna, fermandosi di botto –: non ti sembra di udire una musica?». «Veramente io non sento niente… Senti, Mariella – già la riprendevano i suoi timori –, non sarà il caso di tornare dai nostri genitori? È già quasi sera…».
«Aspetta ancora un poco. Io però la musica la sento… fa così». E con la sua vocetta infantile si mise a cantare: «Li-biam, li-i-biamo nei lie-e-ti ca-lici…» – era il “brindisi” della Traviata –, cercando di imitare il papà quando le cantava brani lirici con la sua bella voce tenorile, per poi chiederle: «Indovina di che opera è».
«Che matta che sei!», scoppiò a ridere l’altra. In quell’istante furono sorprese da un richiamo lontano: «Mariella, Rosaria, venite! Stiamo per tornare a casa». Erano le rispettive mamme che richiamavano le pecorelle smarrite all’ovile. Le due bambine rifecero il cammino di corsa.
Quando giunsero al posto dove erano attese, la sera – era una bella sera estiva, piena di pace – era ormai calata, quasi fosse scivolata silenziosa dalle cupole degli alberi. «Eccovi finalmente! È tardi ed è ora di tornare a casa. Ma prima guardate…».
«Oh, mamma! Che bello!», esclamò Mariella. Negli angoli più bui e frondosi della piccola radura, una moltitudine di puntini luminosi palpitavano nell’aria. «Sì, le lucciole. Fantastiche, vero?», sorrise mamma Clara.
Mariella, rapita come quando nella chiesa di Santa Maria delle Grazie fissava le candele accese davanti alle immagini sacre, contemplò in silenzio quello spettacolo. La schiera luminosa si univa, si sparpagliava qua e là come un pulviscolo dorato che tutto rendeva fantastico e misterioso.
Chissà perché, le ritornò il pensiero del papà lontano e nell’intimo ebbe la certezza che l’avrebbe rivisto presto, così da riprendere i loro “duetti” canori. E accostandosi alla cuginetta, le venne da sussurrarle all’orecchio con tono quasi solenne: «Lo vedi? Quello è il respiro di Dio».
27 e il 28 marzo 2008 – Sessantasei anni dopo, Maria Voce – Emmaus per il Movimento dei Focolari, alla cui guida è appena succeduta a Chiara Lubich, venuta a mancare il 14 dello stesso mese – riceve nella sua terra d’origine significativi riconoscimenti: il 27 dal Tribunale di Cosenza vede il suo nome scritto nell’Albo d’onore dell’Ordine degli avvocati quale prima donna avvocato della città; mentre il 28 nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Aiello viene festeggiata dalle autorità locali e dai cittadini con una targa in segno di riconoscenza per la notorietà mondiale che sta dando al paese natale e alla propria regione. La visita della nuova presidente dei Focolari si conclude il giorno 29 a Lamezia Terme con il festoso abbraccio che ha voluto tributarle la “famiglia allargata” dei focolarini della regione e di quelli venuti dalla Sicilia e da Malta. Presente a questi eventi in qualità di inviato di Città Nuova, ho modo di costatare il carattere ospitale e di cuore, il calore e le espressioni affettuose del popolo calabrese, e di conseguenza capisco meglio a cosa si debba l’attrazione che esercita Emmaus su chiunque l’avvicini: il carisma dell’unità innestato su un’umanità come questa. Da allora, infatti, anche se non avrò più tante occasioni per avvicinarla, il rapporto sperimentato fra noi sarà sempre caldamente fraterno.
Tra il suo episodio da bambina (Emmaus ha trovato il tempo di raccontarmelo in mezzo alla folla venuta a renderle omaggio) e adesso che con i suoi capelli candidi ricorda vagamente Chiara, ne sono passate tappe importanti della sua vita. Ma parlando a braccio ad Aiello, dove per tutti è ancora Mariella, qualcosa ha accennato sul “centuplo” ricevuto da Dio per aver lasciato la famiglia naturale:
«I tre anni di liceo a Cosenza sono stati gli unici anni vissuti fuori da Aiello. Tornavamo in genere una volta al mese a casa, e mi ricordo che quando arrivavamo alla curva e vedevo il campanile del paese sentivo il cuore che batteva forte! Non avrei mai pensato di abbandonare la mia famiglia alla quale ero legatissima se non ci fosse stata una chiamata forte di Dio. […] Avevo cominciato a fare l’avvocato nella pretura di Aiello e al tribunale di Cosenza, e quando ho sentito che Dio mi chiamava per altre mete, ho lasciato tutto nel giro di una settimana. Il mio papà non era d’accordo, è stata una sofferenza grande per lui. Per lungo tempo non mi ha mai scritto! […] E ricordo che proprio mentre ero in Turchia, il 16 luglio del 1980, giorno del mio compleanno, mi è arrivata una cartolina da mio padre con la sua firma: “Baci e auguri. Papà”. Mi è sembrato un miracolo che mi scrivesse proprio lui! Il 23 agosto, un mese dopo, è morto. E mi è sembrato che anche questo facesse parte del centuplo di Dio, del centuplo questa volta non per me ma per lui, per dare a lui, arrivando davanti al Signore, la possibilità di riconoscere il dono che Dio gli aveva fatto di chiamare una figlia. E veramente io sentivo che l’aveva riconosciuto».