Malika Ayane, svoltare a Sanremo

Malika Ayane

Se l’ultimo Festival ha svelato tutte le contraddizioni calcificate negli anni dalla kermesse sanremese, è pur vero che anche quest’anno qualcosa di buono l’ha mostrato. A cominciare da colei che la maggioranza ha eletto come vincitrice morale della sessantesima edizione: l’italo-marocchina Malika Ayane, una delle ultime meraviglie uscite dal sempre gravido cilindro della signora Caterina Caselli.

E così, grazie al più decrepito dei festival, questa ventiseienne milanese ha svoltato e s’appresta a lasciare le pozzanghere del pop radiofonico per incamminarsi sugli insidiosi, ma ben più gratificanti sentieri della canzone d’autore di più alto profilo. Del resto la fanciulla poco aveva a che spartire coi vagiti degli ultimi eroi del pop catodico: a cominciare da una lunga gavetta alle spalle, da anni di studi e di ascolti onnivori, per finire con uno sponsor-padrino del livello di Paolo Conte.

Malika ha quell’attitudine chic da Patty Pravo del terzo millennio, l’eleganza delle movenze, e soprattutto una gran voce speziata, duttile, ambrata: possente nell’estensione, ma capace di dolcezze carezzevoli, personalissima nella grana. E se il singolo Ricomincio da qui s’era dimostrato uno dei brani più belli sfilati in questi ultimi anni sul palco dell’Ariston, il nuovo album Grovigli mostra lo spessore e l’ecletticità del suo carisma interpretativo anche negli altri undici frammenti. Spiccano oltre al singolo, Little Brown Bear, un bel duetto con Paolo Conte del quale Malika interpreta anche Chiamami adesso, quello col compagno Cesare Cremonini nella conclusiva Believe in love, e la garbata cover dell’indimenticabile La prima cosa bella di Nicola Di Bari. Ma anche il resto è materiale di notevole qualità. Malika si giostra bene tra inglese italiano, tra echi di pop beatlesiano e scampoli d’autore, soul ballad sofisticate, schizzi di jazz orchestrali, e rockettini ruspanti. Un grande disco che ha tutto il sapore di una definitiva consacrazione.

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