Malati ma “sani”

Quando studiavo medicina avevo chiaro che il centro del mio interesse e del mio impegno sarebbe stata la persona e non la malattia, che avrei dovuto trattare pazienti e non patologie . Così si esprime la dottoressa María Inés Nin, laureata in medicina sia alla Sapienza di Roma che all’Università di Buenos Aires, città dove svolge la sua professione. Si fa fatica a credere che si dedica da vent’anni alla sua specialità (nutrizione, obesità e disordini dell’alimentazione). Snella, gioviale, dagli occhi scuri e vivaci, si esprime con serenità e prima di accennare un sorriso, arriccia leggermente il naso, quasi scrutando il suo interlocutore. Dopo anni di ospedale, attualmente lavora presso una équipe multidisciplinare con psicologi e psichiatri per affrontare le differenti angolature della persona, che sempre dev’essere considerata in modo integrale. Figlia di medici, è la quinta di una famiglia numerosa di Montevideo, Uruguay; riconosce che nella sua vocazione ha influito l’esempio di accoglienza delle necessità degli altri e di impegno sociale. Ha studiato le malattie del metabolismo e diversi metodi di terapia psicologica. Non nasconde la sua profonda visione antropologica che, abbinata all’esperienza quotidiana, la porta ad affermare: Credo che a curare siano al tempo stesso la competenza professionale ed il rapporto umano. Ma come definire malattia e salute? Il concetto di salute e di malattia – risponde María Inés – con gli anni è cambiato. Superata l’antica concezione del castigo divino o della colpa personale o famigliare, oggi possiamo dire che la malattia è un processo caratterizzato dall’alterazione dello stato ontologico, relativo cioè all’essere, di una persona. E prosegue spiegando come, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la salute sia il pieno benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto l’assenza di malattia. Nel 1984, l’Oms ha definito ancora la salute come la capacità di realizzare il proprio potenziale personale e di rispondere in modo positivo ai problemi dell’ambiente. Racconta: Nel mio ambulatorio ricevo ogni giorno persone che soffrono, oltre che per un male fisico, per carenza d’amore, per paura davanti alla malattia e mancanza di conoscenze su come affrontarla, per ferite del passato, per traumi interni ed anche per sentirsi discriminate. Giorno dopo giorno – prosegue la dottoressa Nin – constato che la competenza tecnica coniugata con la sensibilità umana e con l’accettazione incondizionata dell’altro sono la più efficace medicina . In genere, il medico segue pazienti con malattie croniche e il suo compito principale consiste nell’accompagnarli per un lungo periodo della loro vita. Posso dire – aggiunge con semplicità – che mi sento privilegiata di poter condividere con altri il loro sviluppo personale, di guardare con i miei occhi la crescita che si verifica nei pazienti e di essere partecipe di quella scoperta di sé di tante persone quando avvertono il proprio valore e possono indirizzare in modo positivo il corso della propria vita. María Inés è convinta che la malattia e la sofferenza possono rivelare alle persone una dimensione più grande della loro esistenza quando se ne scopre il senso, giacché, come diceva Nietzsche, la cosa peggiore non è il dolore in sé, ma quando non se ne vede il senso . Ma come fa un medico a immedesimarsi col dolore del paziente salvando la propria integrità? Penso che occorra mettersi al posto dell’altro, ma non essere l’altro. Io mi offro all’altro ma rimango una spettatrice del suo personale cammino. Senza nessuna onnipotenza medica, aiutando e lasciando che gli altri si sviluppino da sé e crescano. Il professionista può creare le condizioni per una possibile guarigione e per la migliore convivenza possibile con la malattia. Ma l’altro è sempre sé stesso. Il medico ed il terapeuta aiutano la persona a emanciparsi, ad attivare le proprie forze. Nel nostro mondo postmoderno – prosegue María Inés – una questione fondamentale è avere il coraggio di accettare la finitudine. Non serve negare il passaggio del tempo e pertanto non prevenire le malattie. Se volessimo continuare ad essere sempre giovani ad ogni costo, correremmo il pericolo paradossale di non tener conto della salute. La miglior medicina è sempre preventiva: per questo non possiamo non tener conto dello stress, della mancanza di esercizio fisico e dell’alimentazione come se fossimo sempre giovani e forti. Per la dottoressa Nin, salute e malattia sono parte integrante della vita, del processo biologico e delle inevitabili interazioni ambientali e sociali. È solita dire ai suoi pazienti che grazie alla malattia non sono di meno ma di più. Cosa intende dire? Che il paziente che affronta la malattia percorre un cammino che lo rinforza e lo rende sempre più capace di misurarsi con le inevitabili difficoltà della vita. Allora, cos’è essere sani? Secondo me, significa essere in equilibrio, liberi di scegliere e rischiare. Esser sani è saper percorrere il tunnel buio con coraggio, accentando il limite del corpo e la sua corruttibilità . Per questo a María Inés piace parlare di malati sani, cioè persone che sanno avere in mano le redini della propria vita.

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