Di Maio e il nodo Ilva di Taranto

Rischia di saltare l’aggiudicazione del gruppo siderurgico all’Arcelor Mittal, mentre si riaffaccia l’ipotesi dell’intervento pubblico tramite Cassa depositi e prestiti. Pressanti istanze per la riconversione produttiva promessa in campagna elettorale
ANSA

Lo scontro sulla questione migranti e, ora, il caso inaspettato della successione di Marchionne al comando della Fiat Chrysler Automobiles, si associa ai tanti decisivi dossier che il nuovo governo della diarchia Lega M5S ha deciso di affrontare, spesso rimettendo in discussione scelte già prese dai precedenti esecutivi.

Il nodo dell’Ilva di Taranto sarà sciolto entro il 15 settembre, come da decisione presa dai commissari dell’azienda in amministrazione straordinaria, ma il clima si annuncia sempre più torrido dopo l’inconsueta iniziativa del presidente Puglia, Michele Emiliano, di scrivere una lettera al ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Mao, per segnalare eventuali anomalie nel processo di aggiudicazione della gara nel controllo dell’enorme stabilimento siderurgico sorto per iniziativa pubblica, negli anni ’60, a ridosso della bella “Città dei due mari”.

Emiliano, magistrato in aspettativa, sa bene il senso delle sue azioni e, infatti, Di Maio ha prontamente trasmesso il fascicolo all’Autorità Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. Non si placa, perciò, la polemica tra il presidente della Regione Puglia e il suo compagno di partito, ed ex ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, sull’aggiudicazione effettuata a favore del  gruppo franco indiano Arcelor Mittal che ha vinto la concorrenza della cordata AcciaItalia impernata sull’alleanza tra l’indiana Jindal Steel con gli imprenditori italiani Del Vecchio e Arvedi e l’intervento di Cassa depositi e prestiti.

Cantone ha confermato l’esistenza delle criticità esposte nella procedure terminate a giugno 2017 ma ha rimandato la decisione sull’eventuale annullamento della gara alla competenza attuale del Ministero dello Sviluppo. Da parte sua il ministro Di Maio ha dichiarato di valutare «ogni possibile impatto legato alle decisioni che dovrò prendere. Impatto in termini ambientali, sociali, economici e occupazionali. Per questo stiamo esaminando le oltre 23mila pagine che ci sono state consegnate. Ogni decisione sarà presa con responsabilità, non dimenticando che il MoVimento 5 Stelle ha raggiunto a Taranto risultati straordinari con circa il 50% delle preferenze, risultati che intende onorare».

Secondo il ministro, il parere dell’Anac, conferma che «la  gara per la cessione è stata un pasticcio, è stato leso il principio della concorrenza, le regole del gioco sono state cambiate in corsa. Se la procedura fosse stata corretta ci sarebbero state molte più offerte e molte più offerte e tutte migliori anche quella di Arcelor».

Con un comunicato congiunto di diverse reti sociali e ambientaliste di Taranto che hanno incontrato Di Maio a Roma lo scorso 29 giugno, si afferma che il governo deve tener fede a quanto promesso in sede elettorale» rinunciando «a perseguire alcun programma di “ambientalizzazione” dello stabilimento per avviare immediatamente le procedure necessarie allo spegnimento delle fonti inquinanti, a cui far seguire investimenti legati a garantire una riconversione economica del territorio, necessario anche a salvaguardare i livelli occupazionali. Una acciaieria delle dimensioni dell’Ilva, con impianti obsoleti e non a norma, non può continuare a produrre nel cuore di una città in maniera compatibile alla salute umana, neanche in presenza di investimenti importanti».

Una prospettiva guardata negativamente dalle sigle ufficiali del sindacato, oltre che da Confindustria, che puntano,invece,  a strappare migliori condizioni nella trattativa con Arcelor Mittal quanto al numero dei lavoratori da mantenere in forza (non solo i 10 mila su 14 mila annunciati) e agli investimenti di bonifica ambientale, ritenuta compatibile con la collocazione geografica di un impianto esteso due volte l’area della città di Taranto. Secondo Marco Bentivogli della Fim Cisl, molto attivo sui diversi tavoli sul lavoro, «chiudere l’Ilva significherebbe perdere 20mila posti di lavoro ( tra diretti e indotto, ndr)  e avviare Taranto ad una “Bagnoli 2”, lasciando disoccupazione e inquinamento», con esplicito riferimento al noto sito siderurgico dismesso nell’area di Napoli.

C’è inoltre da tener presente che l’Arcelor Mittal, pur di acquisire l’Ilva, si è impegnata, secondo le regole sulla concorrenza  a livello europeo, ad un’operazione gigantesca di cessione dei siti produttivi di Galati, Ostrava, Skopje, Piombino, Dudelange e Liegi oltre ad aver concordato l’uscita dalla cordata vittoriosa del gruppo italiano della Marcegaglia
La sospensione per l’eventuale annullamento della gara di aggiudicazione dell’Ilva a Arcelor Mittal, si associa alle strategie in corso nel rinnovo dei vertici di Cassa Depositi e Prestiti. La cassaforte che raccoglie oltre 250 miliardi di euro dei risparmi postali degli italiani, è considerata un perno decisivo nelle diverse sfide industriali che interessano il nostro Paese, non escluso il destino di Alitalia, anch’essa in amministrazione straordinaria, come confermano le ipotesi avanzate dal ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, alternative alla cessione a pezzi dell’ex compagnia di bandiera.

Insomma si fa strada  l’idea di un vero e proprio processo di rinazionalizzazione di imprese strategiche che incontra lo sfavore della maggioranza degli analisti e commentatori, ma che meriterà osservare con attenzione per capire il reale orientamento del governo.

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