Macron, raccogliere e riconciliare

Dopo l’elezione del nuovo presidente francese è necessaria un’analisi attenta del voto. Al Paese non serve un uomo della provvidenza, ma un processo politico che unisca i cittadini

«Uff!». È un sentimento di sollievo che si esprime sui social network, nei Paesi dell’Unione europea e nel mondo. Domenica, 7 maggio 2017, il 66.06% dei francesi ha eletto Emmanuel Macron presidente della Repubblica, a 39 anni.

Giovane (il più giovane nella storia della repubblica francese e il più giovane capo di Stato di una democrazia attuale) e nuovo sulla scena politica (sconosciuto al battaglione politico tre anni fa), è stato in grado di mobilitare le folle e di unirle in un solo anno solo, anche se una parte significativa dei suoi elettori l’ha votato solo al secondo turno, tappandosi il naso pur di fermare la Le Pen (e il Front national) che ha raggiunto il punteggio storico di 33,94% dei voti. Altre cifre significative sono quelle degli astenuti (25.38%) e delle schede bianche (11,49%).

Dei segnali positivi sono comunque da sottolineare.
1. La volontà del presidente di far pulizia nella Quinta Repubblica, nei suoi partiti, nel suo funzionamento, nella moralizzazione delle sue pratiche. Uscire finalmente dalla frontiera sinistra/destra che divide e puntare su una «maggioranza di idee».
2. Implicare di più i cittadini nelle decisioni politiche, puntando i riflettori sui talenti di ciascuno.
3. Far vivere la libertà economica e quella politica, correggendone però gli eccessi (accumulo di ricchezze, avidità, corruzione).
4. Ricostruire la fiducia nella solidarietà intergenerazionale.
5. Dare ai giovani la possibilità di scegliere il loro futuro nella società.
6. Lavorare per un’Europa unita, forte e capace di proteggere i suoi cittadini.
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Ma se le elezioni hanno polarizzato le aspettative della gente, hanno registrato anche una forte delusione tra coloro che hanno sostenuto Jean-Luc Mélenchon (La Francia ribelle), gli elettori di centro-destra che hanno sostenuto fino alla fine François Fillon, i socialisti.

Più problematici sono la rabbia e il profondo disagio espresso da molte persone. Queste voci – in gran parte recuperati dal Front national – si esprimono soprattutto in determinati territori del Paese segnati da grandi debolezze e da disuguaglianze sociali (le zone rurali con un abitato sociale concentrato, le regioni de-industrializzate, i luoghi dove i tassi di disoccupazione e la concentrazione della povertà delle famiglie monoparentali è più elevata…).

Che cosa hanno fatto i governi precedenti per migliorare la sorte di queste persone nelle “aree sensibili”?
Emmanuel Macron ha detto di aver sentito le grida, di aver preso le misure delle fratture che dividono la Francia: «Farò di tutto nei prossimi cinque anni per coloro che hanno votato per la signora Le Pen, perché non abbiano più alcun motivo per votare per gli estremismi […]. Il compito che ci attende è immenso», ha detto nella piazza del Louvre nella notte della sua vittoria.

Ma non sarebbe realistico puntare tutto su “l’uomo della provvidenza”, quello messo in scena in uno show politico televisivo, trasmissione analizzata da Jean-Pierre Denis de La Vie. L’inquadratura dell’eletto sulla base della piramide del Louvre, che «mirava a ingrandire la persona dell’eletto, per dargli una statura di presidente, senza tempo, irraggiungibile, imbalsamato […]. La folla era un elemento della scenografia, non un corpo».

Il lavoro della democrazia sta proprio lì, in quell’«essere uno» chiaramente voluto dal nostro nuovo presidente: «Raccoglierò e riconcilierò – ha dichiarato – perché voglio l’unità del nostro popolo e del nostro Paese». La lotta di Macron sarà più facile da condurre se riuscirà a ottenere una maggioranza tra i 577 membri dell’Assemblea nazionale da eleggere il 11 e il 18 giugno.

Ma non è anche la responsabilità di tutti, quella di mettere la propria pietra nell’edificio che si sta costruendo? Quella di contribuire a rendere le nostre piccole società (famiglie, scuole, quartieri, associazioni, chiese) un corpo sociale coeso? Per questo una tappa è necessario attraversarla, quella di conoscere, pensare, capire insieme tutte le nostre fragilità e le nostre fratture, senza paura e senza binari già tracciati.

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