Macbeth a Parma

L'opera, messa in scena al Festival Verdi con la regia di Daniele Abbado, vede protagonisti un appassionato Luca Salsi e l'ottima Anna Pirozzi. Da non perdere.

La XVIII edizione della rassegna si è aperta con la tragedia scespiriana musicata da Verdi per Firenze nel 1847. È questa versione, e non la successiva parigina del 1865 – ampliata da danze, riorchestrata con arie nuove come la celebre “La luce langue”, e così via –, che normalmente si esegue. È una fortuna. Perché la versione fiorentina è asciutta, stringata e risente certo di forme dell’epoca: cabalette,cori omofonici (ma uno degli applausi più conviti era a questo brano), virtuosismi, eccetera, ma l’incisività drammatica, la forza quasi bruta nel sottolineare i sentimenti, la rendono forse più plausibile della seconda, per quanto più raffinata.

Verdi va subito al sodo. Quel che gli preme è indagare, circoscrivere, scolpire la Lady, ed infatti la struggente scena del sonnambulismo egli non l’ha toccata nelle versione parigina: è uno dei momenti più alti della sua drammaturgia, per l’unità tra parola e musica, sintesi e descrizione, colori e luci densi di pathos disperante. C’è l’inganno diabolico (le streghe) del potere in cui anche Macbeth è avvolto e che lo porta alla morte e al rimorso finale, che manca nella seconda versione, più nichilista.

La tragedia è attualissima. Infatti, la regia di Daniele Abbado che avvolge il palco del Teatro Regio in nebbie “filanti”, in piogge impalpabili, in una natura scura entro cui agiscono i personaggi vestiti modernamente con una recitazione passionale, ma scabra, coglie nel segno l’ispirazione verdiana. I colori sono essenziali: bianco, rosso, grigio. Macbeth è un Luca Salsi forte di voce (anche troppo), ma appassionato, la Lady di Anna Pirozzi è sottile diabolica, graffiante, con una voce mobilissima e pieghevole (si ascoltino le note conclusive de “Una macchia è qui tuttora”), una delle migliori nel ruolo attualmente.

Se il coro talora andrebbe imbrigliato, l’orchestra diretta attentamente da Phlippe Auguin è balzante, oscura e cupa secondo il necessario. Ne esce un Macbeth severo, mai retorico, brusco e patetico. A noi resta un sentimento che ci scuote l’animo perché Verdi non ti lascia in pace per la sete del potere che vive dentro ciascuno di noi, allora come oggi.

Il Festival continua con le repliche (5,11 ,18 ottobre) e le altre opere: Un giorno  di regno, Attila, Le Trouvère (Il Trovatore francese) con nuovi allestimenti, in tre teatri, con tre orchestre e 25 eventi. Da non perdere.

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