L’Italia è divisa?

La politica si prende una pausa di riflessione. Si ferma per un istante ad ascoltare le istanze dei più giovani. E s’accorge, con una punta di amarezza, che questo istante è troppo breve, e che di queste pause di riflessione se ne concede assai poche. Mentre sarebbero molto salutari. S’accorgono i politici, e i giovani glielo fanno notare con la dovuta irruenza, che si sono trasformati sempre più in attivisti compresi negli ingranaggi d’una politica che insegue le sue regole – voti, immagine, problematiche interne ai partiti e quelle create dall’opposizione, le provocazioni dei mass-media – nicchiando sui grandi ideali. I soli che riescono a muovere gli animi e ridare ardore ai cuori. I giovani, in questo senso, sono un termometro spietato. E i politici-attivisti citano Dostoevskij: Agli uomini attivi manca di solito l’attività superiore: voglio dire quella individuale. Essi sono attivi come funzionari, commercianti, dotti, cioè come rappresentanti di una specie, ma non come uomini affatto determinati, singoli ed unici. Quando si perde questa attività superiore, si possono spendere grandi energie, ma si fanno pochi passi. Allontanandosi da sé stessi, ci si allontana irrimediabilmente dall’anima del popolo. L’unica dalla quale nasce la politica. Comunque, sebbene breve, la pausa di Saint Vincent è stata significativa. La Fondazione dedicata alla memoria di quel grande e indomito combattente e politico che è stato Carlo Donat-Cattin ha riunito per tre giorni gli allievi di alcuni licei – di Brescia, Bergamo, Torino, Pinerolo, Chatillion – e alcuni politici rappresentativi della geografia politica nostrana – Mastella, Violante, Merlo, Formigoni, Matteoli, Fontana – per ragionare essenzialmente su due temi. Uno derivava dalle riflessioni degli studenti: L’Italia che vorrei, l’altro palesemente attuale: L’Italia è divisa?. Dal primo confronto è emersa la percezione della politica dei giovani partecipanti. E non è stato un quadro entusiasmante: passavano dal disincanto al rifiuto della politica com’è attualmente praticata. I politici hanno accusato il colpo. Hanno ammesso che la disaffezione dei giovani verso la politica è dovuta alla distanza dei politici dal popolo, dal fatto che non si consumano più paia di scarpe per tenere i contatti con la gente. Hanno ammesso l’impoverimento della capacità di ascolto; una certa arroganza e autosufficienza della politica; una mancanza di scuole di formazione nelle quali – come già un tempo – s’educava primariamente al rispetto delle istituzioni, indipendentemente dalla propria fede politica. Hanno ammesso la necessità della politica di riflettere sui suoi ideali e contenuti, invece di perdersi nell’incessante polemizzare gli uni contro gli altri, nel rincorrersi in continue delegittimazioni reciproche. L’on. Mastella nella sua irruenza oratoria ha messo l’accento su un punto assai critico: Una volta la politica aveva dei riferimenti. Ora non ci sono più i Maritain, i Mounier, gli Sturzo. I politici pretendono di fare da guida senza avere guide essi stessi. C’è di che riflettere… Poi la seconda domanda che, col titolo del convegno, si chiede: l’Italia è divisa? Ovvia la risposta: sì, l’Italia si scopre divisa. Politicamente, di certo: il 9 aprile l’ha dimostrato. Mentre si affaccia, ancora più preoccupante, il fantasma d’una divisione sociale, fra ceti popolari. L’Italia però era già divisa in passato, ai tempi della Dc e del Pci. Solo che ora il malessere è più generalizzato e la nazione è consumata tra due tensioni opposte: da una parte la propulsione verso il bipolarismo, dall’altra la crescita smisurata della frammentazione politica. L’oscillare fra tentazioni maggioritarie e proporzionali, e i susseguenti compromessi all’italiana, ne sono la cartina al tornasole. Inoltre l’Italia – come gran parte dell’Europa e dell’Occidente – vive una profonda crisi d’incertezza sulla propria identità culturale e spirituale. Quasi una notte. Anche se mai come oggi la democrazia è stata così estesa nell’Occidente. Però, con l’avanzare della democrazia, sono aumentate le domande. La ragione critica, anima dell’Occidente, le genera continuamente. E le risposte mancano, o stentano. In questo scenario s’inserisce pure la sfida culturale dell’Islam, che s’affaccia come inevitabile componente politica e sociale nelle nazioni occidentali.Mettendo spesso in discussione un certo modo acquisito di vivere. La politica, nata come fatto nazionale, si trova inoltre a essere sempre più immersa in una visione più ampia, nella quale molti destini vengono decisi fuori dei confini delle nazioni. Lo scenario perciò è molto complesso. Come si può impostare una nuova politica nel mondo globalizzato? Questa domanda, difficile ma entusiasmante, interpella soprattutto i giovani, tra i quali nasceranno i nuovi Maritain, Mounier, gli Sturzo e i Giordani, che saranno guide dei futuri scenari politici. Per muoversi in questa direzione sono certamente utili momenti come quelli offerti dalla Fondazione Donat- Cattin, che ha il pregio di promuovere il confronto fra diverse culture e anime politiche presenti nel nostro Paese. Questa ultima edizione ha presentato una grande novità. Come ha affermato il responsabile organizzativo, Gianpietro Benigni: La presenza delle scuole e il coinvolgimento dei giovani nei nostri lavori sono la vera novità rispetto al passato. Con loro ci si proietta nel futuro guardando al presente, fatto di eccellenze e di meschinità, ma anche di speranza di poter disporre di un ambiente, modi di vita e relazioni migliori.

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