L’imbalsamatore

Testo di Renzo Rosso, musica di Giorgio Battistelli. Siena, Teatro dei Rozzi. 66a Settimana musicale senese.
L'imbalsamatore

Non è il film di Matteo Garrone. Ma la storia, cupa e sarcastica, del dottor Aleksej Miscin, di professione imbalsamatore, che cura la “salute” della mummia di Lenin. Recitato alla grande da Paolo Calabresi – che balla canta grida piange mima… –, il “monodramma giocoso” (2002) ha nell’ironia il suo punto di forza.

 

Sullo sfondo di un tappeto sonoro grigio, Aleksej dialoga col morto in graffianti considerazioni sugli ideali ormai falliti del comunismo, la “nuova Russia”, l’orgia del potere di Lenin e Stalin; e sulla propria vita infelice di marito tradito dalla leggera moglie Irina. Condisce raffiche durissime sul potere con battute a doppio senso, balletti buffi accompagnati da una musica bamboleggiante sulla scena allestita intorno al tavolo dell’obitorio, mentre spruzza profumo sulla mummia del despota.

Tra ritmi da operetta o accenni foschi di dramma, Battistelli conduce, sulla scorta di un testo caustico e sincero, il vecchio burocrate dentro un clima grottesco. L’orchestra sussulta, impreca, ride su Aleksej e la sua Russia dove ancora vincono, al governo come in famiglia, i prepotenti (la moglie). E lui? Non gli resta, accortosi che la mummia si sta accartocciando e diventando sabbia, di sostituirsi a Lenin, autoimbalsamandosi. Chiamando, mentre gli arti gli si irrigidiscono, per l’ultima volta l’amata-odiata moglie al telefono.

Ma era proprio una favola giocosa? La musica che sottolinea perfino gli accenti delle parole in modo sempre cangiante, sa essere laminata al punto giusto, salda come la direzione di Erasmo Gaudiomonte con il gruppo dell’Orchestra della Toscana, seminascosto dietro un velo reticolato e la regia dello stesso Battistelli. Lo spettacolo si rivela alla fine una piacevole (e crudele) follia. Che fa pensare.

 

Altra cosa sono le armonie trasparenti dell’Elias di Mendelsshon. L’Orchestre des Champs Elysées e il Collegium Vocale Gent e l’Accademia Chigiana uniti – un coro di una bellezza esemplare –, diretti dal meticoloso Philippe Herrreweghe, hanno interpretato i grandi blocchi riflessivi, drammatici, lirici che narrano le vicende del profeta Elia come scomparti di un polittico che, memore di Bach ed Haendel, trova nella “misura” la sua poesia.

La visione divina sull’Oreb tempestoso, ricreata dal coro agitato, il passaggio di Dio come brezza, evocato dai violini, la marcia funebre dei violoncelli sotto le parole dolenti del profeta sono solo alcuni dei momenti più belli di un’opera di autentica spiritualità e di alta ispirazione. Ottimi gli interpreti, specie il baritono Florian Boesch. Aldo Bennici, direttore artistico, ha fatto centro anche quest’anno.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons