Libertà vo cercando

Tra passato indelebile (Internet) e futuro predeterminato (biologia), in bilico libero arbitrio e responsabilità dell’uomo.
Cervello Umano

La tribù di Internet sembra divisa in due: quelli (specialmente giovani) che lasciano ovunque, allegramente e volutamente, tracce di sé, dei propri pensieri e azioni, e quelli (specialmente meno giovani) preoccupati di proteggere la propria identità e intimità contro chi vuole sbirciarle o rubarle.

Molto è stato scritto sul pericolo di lasciare in Rete tracce della propria vita, non altrettanto si è riflettuto, forse, sul fatto che ormai la Rete sa di noi molto più di quanto sappiamo (o vorremmo sapere) noi stessi.

 

Passato (indelebile)

 

Il cervello di cui la natura ci ha dotato, infatti, è costruito in modo da dimenticare la maggior parte dei ricordi, probabilmente perché, altrimenti, non riusciremmo a vivere bene il presente. L’oblio, insomma, è positivo, addirittura un diritto secondo alcuni, perché ci permette, se vogliamo, di cambiare vita, modificando il modo con cui ci presentiamo al mondo. Permette, cioè, entro certi limiti, di vedere “nuovi” ogni mattina noi stessi e le persone che ci circondano.

La Rete, invece, non dimentica mai nessun dettaglio. A volte manipola: quasi piangeva, tempo fa, una professoressa che mi raccontava di come alcuni suoi ex allievi le avessero distrutto reputazione e serenità diffondendo in Rete sue immagini ritoccate, con minacce e commenti ingiuriosi, che lei non riusciva in alcun modo a far cancellare.

Certo, nelle leggi si sta diffondendo il concetto che dati personali e profili memorizzati devono avere una scadenza, oltre la quale vanno resi anonimi. I motori di ricerca giurano di cancellare le registrazioni più vecchie delle nostre navigazioni in Rete, ma qualcuno non si fida e ipotizza un futuro in cui saremo costretti ad una auto-censura digitale preventiva, come negli stati di polizia, per non lasciare tracce capaci di ipotecare il nostro futuro. Sarebbe veramente il colmo per una tecnologia, come Internet, che promette di renderci più liberi!

 

Futuro (predeterminato)

 

Un bioingegnerie, Stephen Quake, annunciava tempo fa di aver scoperto, studiando il proprio patrimonio genetico, di avere una predisposizione a morire di infarto, oltre ad altre malattie in arrivo (si tratta di probabilità naturalmente). È un aspetto della “medicina personalizzata”, ancora privilegio di pochi, ma presto disponibile a tutti: permetterà la diagnosi delle patologie prevedibili nel corso della vita di una persona. Visto che ognuno di noi reagisce in modo diverso ai farmaci, sarà uno strumento potente per decidere caso per caso la cura migliore per ogni paziente. Ma c’è un ma.

Nella nostra società moderna, un numero crescente di persone vive in ansia per il futuro, con dipendenza da psicofarmaci, ricoveri ospedalieri e verdetti medici. Che succederà domani, con il test del Dna disponibile a tutti? Pochi sapranno resistere alla curiosità, ma conoscere il proprio domani (ipotetico) può portare a tristezza, depressione e spese mediche sostenute nella speranza di “cambiare il proprio destino”, spese magari inutili perché non è detto che la malattia si manifesterà mai. Il nostro futuro non è scritto nei geni, mille altri fattori lo determinano, non ultima la nostra libertà (e responsabilità) nello scegliere come impostare la vita. Dunque, forse «a ogni giorno basta il suo affanno».

 

L’uomo-cosa

 

Le recenti tecniche di neuroimaging permettono di “vedere” le varie parti del cervello attivarsi mentre eseguiamo attività o pensiamo. Per la prima volta si può verificare, visivamente, l’efficacia della terapia scelta per curare un dato disturbo mentale. I progressi sono già straordinari e ancor più lo saranno in futuro. Ma a forza di manipolare dall’esterno la rete di neuroni e trasmettitori che costituisce il cervello, è irresistibile la tentazione di considerare l’uomo niente più di una macchina sofisticata, i cui “pezzi” forniscono risultati “prevedibili” a fronte di comandi adeguati. Addio unitarietà dell’io. Addio concezione della pena per cui l’individuo è sempre recuperabile. Addio soprattutto libero arbitrio. L’avvocato difensore chiederà la non punibilità del proprio cliente perché “costretto” al delitto dalla configurazione del proprio cervello. E il bambino troppo irrequieto in classe dovrà, condannato dal suo profilo genetico, prendere tranquillanti tutta la vita. Dopo la segregazione razziale, sta per arrivare quella genetica? No, grazie.

Stretti tra un passato indelebile (perché scritto in Rete) e un futuro predeterminato (dalla biologia del nostro corpo), sentiamo scricchiolare la nostra libertà e responsabilità. In attesa che genetica e scienze del cervello superino la fase attuale di “meccanicismo ingenuo” (come già successo alla fisica nel secolo scorso), meglio allora non dare eccessivo peso a coloro che, con voce suadente, ci spiegano ogni giorno che in fondo in fondo siamo solo “cose”.

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