Lia ha creduto all’ amore

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Domenica 12 aprile 1998. Una folla multicolore riempie le capienti strutture del Luna Park di Buenos Aires. Si sono date appuntamento attorno alla fondatrice dei Focolari migliaia di persone, provenienti da tutte le province argentine, da Catamarca alla Terra del fuoco, all’Uruguay, Paraguay, Cile, Perù e Bolivia. Un incontro di famiglia, di festa, in cui vengono rivolte a Chiara Lubich parecchie domande sulla vita personale e collettiva. Le chiedono anche quale possa essere la caratteristica, il profilo dell’azione del movimento in America Latina. Il suggerimento che lei dà è semplice: aprire a tutti un dialogo a 360 gradi, che significa amare tutti, tutti, tutti. Un invito forte, ma particolarmente adatto a quelle terre di emigrazione. È come se si aprisse in tutta la sua portata una nuova frontiera, certo impegnativa, ma non per questo meno entusiasmante. Si guarda avanti. Sono trascorsi più di quarant’anni, in cui il seme evangelico dell’unità e della fraternità è penetrato in quelle terre. Tra i pionieri, in prima linea, Lia Brunet, una delle prime compagne di Chiara, da lei considerata tra i confondatori del movimento. Ha trascorso in America Latina 44 anni della sua operosissima vita tutta donata alla causa dell’unità. Sino a quando la salute glielo ha consentito, ha continuato anche negli ultimi anni – dopo il suo ritorno a Roma -, con viaggi periodici, a sostenere, indirizzare verso mete sempre nuove questa porzione non indifferente del movimento. Aveva visto nascere, seguendone poi via via gli sviluppi, la cittadella di O’Higgins e quella di Bahia Blanca, il polo industriale legato all’Economia di Comunione ed il complesso editoriale Ciudad Nueva, le varie opere sociali, le scuole di ecumenismo e di politica, i centri per congressi… Tutte realizzazioni fortemente inculturate in quei paesi così travagliati da ricorrenti crisi economiche e sociali, e allo stesso tempo fedeli all’ispirazione originaria, per accogliere e formare i tanti sudamericani che avevano aderito al focolare. Lia s’era vista crescere attorno una molteplice famiglia multietnica, delle più diverse culture. Aveva amato con uguale passione i popoli andini e i campesinos inurbati, proletari tra i proletari. Li aveva amati, ed aveva contribuito a ridare loro la dignità di sentirsi anch’essi protagonisti nella costruzione del progetto più ardito che si potesse sognare: una società fraterna. Era stata accolta nelle case dei ricchi, che avevano aperto mani e cuore ai bisogni di tanti. Si era messa al loro ascolto per far emergere da ciascuno la parte migliore che riposava nel loro cuore. Così la descrive dal Messico Filippo Casabianca, un focolarino che è stato a lungo in Argentina: Gracile nell’aspetto ma fortissima nello spirito, ammiravo in lei l’onestà intellettuale, che in ripetute occasioni le ha permesso di far grandi gli altri, sapendo cogliere in essi, con delicatezza squisita, quel dono di cui erano portatori, perché lo sapessero mette- re al servizio di tutti. Ed anche scomoda in altri frangenti, perché risoluta nel perseguire quella meta che un lampo di luce soprannaturale le aveva fatto intravedere. Ha saputo penetrare la traiettoria difficile dei nostri popoli – dice Inés Blanco, che per 34 anni corresponsabile del movimento in Argentina, ha collaborato direttamente con Lia – mettendo in luce le loro potenzialità e bellezze, per poi riscattarci, con grandezza d’animo e infinita misericordia, dalle molte tentazioni di soluzioni sbagliate nel tempo delle dittature, della corruzione, delle molte ingiustizie. Il 25 dicembre scorso, Lia aveva festeggiato il suo 87° compleanno, essendo nata la notte di Natale del 1917 a Cembra di Trento. Ed anche se negli ultimi mesi le erano venute meno le forze, la si trovava all’opera, come lei diceva, con l’entusiasmo e la dedizione di sempre. Forse qui stava il segreto di questa giovinezza che tanti scoprivano in lei, malgrado il trascorrere degli anni. Giovinezza che perdurava da quando si era imbattuta in una ragazza un po’ più giovane di lei, che le aveva proposto un ideale dagli orizzonti vasti quanto il mondo. Era il 1945 quando Lia Brunet incontrò Chiara Lubich nella prima casetta (che altri avrebbero chiamato focolare) in piazza Cappuccini, a Trento. La giovane maestra le raccontò la storia di Chiara d’Assisi, una ragazza ricca, giovane, bella, che aveva lasciato tutto per Dio. Lia non avrebbe dimenticato più quell’incontro. Non so – appunterà più tardi nel suo diario – se si riferisse alla storia di secoli fa, alla sua… o alla mia. Perché anche lei si trovava nel fiore degli anni, corteggiata e ricercata nelle feste della società- bene cui apparteneva. Lia lasciò tutto – la casa, i beni, il fidanzato che, finalmente tornato dal fronte, non aspettava altro che il suo sì – per andare a vivere nel poverissimo focolare con Chiara ed alcune delle prime compagne. Sovente Lia era con Chiara nei primi viaggi oltre la cerchia trentina. La troviamo ad Assisi, a Roma nel ’48, data dell’incontro con Igino Giordani. Allo stesso anno risale la prima traversata… oltremare. Anche se si trattava semplicemente della Sardegna, una vera impresa, con il mare in burrasca. Lia ritornò spesso nell’isola. E anch’io ebbi la fortuna di incontrarla in uno di quei suoi soggiorni insulari. Avevo 13 anni. Il suo sguardo franco ed il suo sorriso luminoso mi invogliarono alla confidenza. Sai – mi disse infine nel salutarmi -, se noi amiamo, siamo come stelle sempre accese in cielo. Percepii in quelle parole un’autentica comunicazione di vita. Non conoscevo un vangelo così. Nessuno mai me ne aveva parlato. Dieci anni dopo, nel ’58, avvenne il primo volo oltreoceano. Con Lia, partirono Fiore Ungaro e Marco Tecilla, il primo focolarino. Si recavano alla scoperta di una terra nuova per il focolare, chiamati da un sacerdote. Si trattennero in Sudamerica dall’ottobre del ’58 al giugno del ’59. Pochi mesi, sufficienti tuttavia a gettare i primi semi dell’Ideale dell’unità. Seguì un periodo di sviluppo rigoglioso, in cui iniziò a delinearsi la fisionomia delle varie regioni sudamericane, suggellate nei tre viaggi consecutivi di fondazione dal ’64 al ’66 dalla stessa Lubich. Tutto questo affonda le sue radici nella fedeltà ad una consegna fatta loro dall’iniziatrice dei Focolari nel salutare quel primo drappello che partiva così lontano: che prima di tutto regnasse tra loro l’amore reciproco. Il crocifisso che come missionari (anche se tali non si sentivano affatto) avrebbero portato con sé, sarebbe stata la presenza tra loro di Gesù, da lui promessa ai due o più uniti nel suo nome, nel suo amore. Non so quanto siamo rimasti fedeli a questa consegna – fu il commento di Lia nell’intervista rilasciata a Città nuova in occasione del 40° della presenza del movimento in Argentina (cf. n.24/2001) – questo è stato il programma di vita di questi anni. Una cosa è certa: lasciando che qualcuno guidasse la regìa degli avvenimenti, si era dipanato via via l’ordito di una trama condotta a più mani, di cui solo con gli anni sarebbe emerso il disegno tutto intero. Ed è forse per questo che la notizia della sua partenza per il cielo – avvenuta il 5 febbraio scorso – ha lasciato in tutti il segno profondo di una vita che continua, di cui non si avverte la separazione, perché l’unità è più forte. Un punto focale di questo disegno risultava il viaggio di Chiara Lubich in Sudamerica del 1998. Un incontro attesissimo, soprattutto da Lia, che lo riteneva un punto di arrivo, ed insieme di partenza verso nuove mete. Quel volo oltreoceano Attraverso la testimonianza diretta di un collega argentino, frammenti di un’avventura davvero speciale. Il funzionario delle pratiche d’imbarco guarda un po’ perplesso quell’insolito trio di viaggiatori in partenza per il Sudamerica. Nella sua discrezione, non fa nessun commento quando gli restituiscono i formulari, rendendosi conto, da quanto scrivono, che non sono sicuri del luogo dove risiederanno e che nemmeno conoscono la lingua di quei paesi. Quella partenza avrebbe segnato un passo fondamentale nei futuri sviluppi del Movimento dei focolari in America Latina. Lia Brunet, assieme a Marco Tecilla e Fiore Ungaro, costituivano il primo gruppo che si avventurava oltreoceano per portare in quelle terre la spiritualità dell’unità. Fecero scalo a Recife, nel nord del Brasile, quindi a San Paolo e Belo Horizonte, sempre in Brasile, a Buenos Aires in Argentina, a Montevideo in Uruguay, a Santiago in Cile. Dovunque furono ben accolti. Il fatto che venissero da Roma, dal cuore della cristianità, disponeva i locali a ricevere con animo aperto la novità proposta dai Focolari. Fu una semina così rigogliosa che nel 1961 Lia, assieme a Marita Sartori, avrebbe attraversato di nuovo l’oceano, questa volta col preciso proposito di stabilirsi a Buenos Aires, per poter seguire da lì le promettenti comunità che ormai si andavano espandendo un po’ dovunque. Qualche mese dopo le avrebbero raggiunte Vittorio Sabbione a Carlo Casabeltrame. Con la loro presenza, si sarebbero poste salde radici a quella rete d’amore che con trame sempre più fitte si sarebbe estesa sul continente. Quando giunsero anche i focolarini, Lia pensò che fosse giunta l’ora di tentare anche in America Latina l’esperienza della Mariapoli (incontri tipici dei Focolari), a Santa Maria. Sembrava una pazzia organizzarla in quella località preandina, a 2 mila metri di altezza, e per di più nel cuore dell’inverno. Ancora oggi, c’è chi ricorda che Lia temeva di proporla perfino a Vittorio, avvocato, uomo razionale, ben sapendo che questo progetto non aveva nulla di razionale. Sta di fatto che quella Mariapoli di Santa Maria fu determinante per la vita futura del movimento in queste terre. Quanti vi parteciparono non avrebbero mai dimenticato quella straordinaria esperienza e nemmeno la generosità degli abitanti che, per la nuova vita fiorita tra loro, supplirono a tutto. Assieme a quella di Garanhuns, fu la prima Mariapoli in terra sudamericana. È difficile ora parlare di questi 44 anni che così profondamente hanno inciso nella storia personale e collettiva di tante persone. Una data un po’ speciale per tutti i membri dei Focolari fu il 14 dicembre 2002. Nella cittadella Andrea erano convenuti circa 400 focolarini e focolarine dal Perù, Bolivia, Cile, Paraguay, Uruguay e Argentina. Si ritrovavano insieme dopo tanti anni, ritornando alla esperienza di quei primi tempi. Lia e Vittorio erano presenti, come sempre. L’incontro per tutti fu una festa, ma ebbe il suo prezzo: tutti e due sarebbero tornati a Roma al centro del movimento. Sarebbero tornati ancora – era nel loro compito -, ma non c’è dubbio che in quel momento si sentiva forte il distacco. Io sento di dover ringraziare ciascuno di voi – disse Lia -. Sì, voi ringraziate noi dei primi tempi, ma io sento che in tutti i tempi ciascuno avrà la stessa passione per Gesù Abbandonato che va al di là, che fa miracoli. Queste parole di quei giorni avevano un certo sapore di consegna. Così la ricordano Alcuni tra i molti messaggi pervenuti per la partenza di Lia. Arcivescovo emerito mons. Stanislao Karlic, ex presidente della conferenza episcopale argentina: Ho saputo che Lia, benemerita della chiesa in Argentina, è andata in cielo. Lia ha già trionfato per la sua vita. In verità, trionfava nella sua carità, perché ogni atto d’amore totale tocca l’eternità. Horacio Pirotta, sindacalista della provincia di Buenos Aires: Lia Brunet ha costantemente risvegliato in me la necessità di fare della persona e della sua felicità la ragione d’essere della politica. È stata una grande politica. Prof. Elias Abramides, patriarcato ecumenico di Costantinopoli: Ci ha lasciato l’amica, la compagna e costante lottatrice tanto vicina a Chiara. Nel cammino ecumenico abbiamo imparato e continuamente impariamo da lei. Elias Szczytnicki, coordinatore latino- americano della Conferenza mondiale delle religioni per la pace: Grande è stato il contributo di Lia nelle azioni comuni per la soluzione dei conflitti, per lo sviluppo, il disarmo, e l’educazione alla pace. Clara e Boris Kalnicki, presidente della Confraternita argentina giudeo-cristiana: Era una donna grande, una vera signora nello spirito. La sua figura fa parte della nostra storia personale, incancellabile . Taisaku (buddhista) e sua moglie Maria Antonietta (cattolica): Ci attirerai sempre di più verso l’eternità, e arriveremo rinnovati dall’amore, come ci dicevi. Dal Centro dei pensionati di O’Higgins: È grazie al suo intervento che questa residenza ha ricevuto in donazione dal vostro movimento un’importante somma che ci ha permesso di acquistare un’attrezzatura molto costosa e di installare il gas naturale, consentendo agli anziani di avere un più confortevole servizio di riabilitazione e di attenzione. L’ultima lettera Dall’autobiografia di Lia Brunet ancora inedita. Era appena finita la guerra, ed il mio fidanzato era tornato dal fronte, dopo parecchi mesi che non dava notizie. Un momento quindi molto atteso e desiderato. (…) Ma anche se gli volevo bene, nel fondo una voce sottile sottile: Dammelo, vieni e seguimi… . Quell’anno facevo scuola di nuovo a Fiera di Primiero. Era la settimana che precedeva l’Immacolata quando ricevetti ancora una lettera da lui. Sentii forte che doveva essere l’ultima. Ma non ero io che mi davo questa decisione, era la Madonna che mi dava la sua fortezza. Quella sera, mentre fuori cade abbondantemente la neve, io tardo correggendo i compiti dei miei alunni, e non mi decido ad andare a letto: dentro mi urge qualcosa. Sento che devo suggellare con un segno esterno quella decisione e… ecco l’idea: distruggere quelle lettere e quelle foto. Ma non riesco a strapparle, vorrei bruciarle perché la mia è un’offerta, non un rifiuto. Proprio in quel momento viene a mancare la luce, e la padrona di casa gentilmente bussa alla porta con una grossa candela accesa: Signorina, perché possa proseguire il suo lavoro… . Quella fiamma lambisce rapidamente tutto, e pur nello strappo che mi lacera, esperimento in fondo all’anima una gioia sottile e pura. Quando suona la sveglia, col cuore in festa mi affretto ad incamminarmi verso la chiesa per la prima messa. Non dimenticherò mai quel cielo terso con una grande falce di luna nel quale splendeva chiara, ormai sola, la stella del mattino, che faceva luccicare l’alta coltre di neve (…). Quell’immagine dell’Immacolata che troneggiava sull’altare maggiore sembrava aspettare proprio me per accogliermi e presentarmi a Gesù (…). Quando arrivo a scuola, la bidella mi porge una lettera. Riconosco subito la calligrafia di Chiara. In fondo al foglio, leggo (…): L’Immacolata ti annuncia la vita!… L’Immacolata ti annuncia la morte!….

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