L’eredità di Piero Pasolini

La creazione e la legge dell’amore trinitario, la società basata sul dono e il Dio di questi tempi

Qualunque operatore di Borsa sa che i mercati oggi sono isterici, imprevedibili, vulnerabili, esposti alle crisi. Va di moda l’investimento a breve (shorttermism), il guadagno immediato: una volta si diceva: «Pochi, maledetti e subito». E come l’economia, anche la società è diventata precaria, competitiva, arida. I politici si sono adeguati, nessuno parla di bene comune, le parole d’ordine sono altre: americani prima, italiani prima, francesi prima e così via… L’egoismo ha gettato la maschera. Continuamente rinforzato dai media, non cerca neanche più di nascondersi. Che sia tra individui o tra popoli, è sempre il vecchio «homo homini lupus». Il massimo a cui arrivano i più sensibili è proporre un po’ di giustizia redistributiva. D’altra parte, per chi non vuole arrendersi c’è una deprimente scarsità di idee e modelli controcorrente. Mente e cuore Può essere utile, allora, ricordare e mettere in evidenza la parabola umana, intellettuale e spirituale di Piero Pasolini, uomo di solido buon senso e grandi esigenze (vedi box), che cento anni fa nasceva a Borghi, piccolo paesino della Romagna. Un fisico, un “logico” che a un certo punto incontra un grande ideale: il carisma dell’unità. All’entusiasmo iniziale e alla decisione di dedicare la sua vita per questa scommessa, seguono anni di impegno e riflessione, in cui Piero cerca di unificare dentro di sé mente e cuore, «perché qualsiasi problema va certamente risolto con l’intelligenza, ma soprattutto con l’amore, che è il massimo dell’intelligenza». C’è una cosa su cui soprattutto si interroga, e che discute in tanti incontri anche internazionali: «Questa è la mia crisi: si salverà un sacco di gente, ma l’umanità si salva?». È angosciato per i problemi della società, apparentemente condannata alla legge della giungla, al trionfo dell’egoismo. La quarta dimensione Non si arrende: «La tendenza umana è che ognuno si chiuda in sé stesso e curi i propri interessi. Ma non basta che i cannibali si mettano d’accordo di non divorarsi a vicenda; costruirebbero una società apparentemente perfetta nella sua giustizia distributiva, ma in realtà falsa, non umana, una macchina che non funziona». Inutile pensare di risolvere i problemi dell’umanità riducendola a un alveare. L’uomo non è un gregge di pecore o di formiche, nel quale ciascuno sta nel suo buco e si accontenta di avere il suo. In questo modo «coltiviamo solo il suo egoismo. Una realtà senza rapporti è un inferno. Serve invece la donazione reciproca, serve una società basata sul dono: la mia vita ha senso se vivo per far contenti gli altri». La chiave di volta è Dio che per amore si fa uomo, Gesù. «Dio crea anche in questo momento, legando gli esseri con l’amore: noi possiamo partecipare al suo atto creativo se siamo nell’amore reciproco. Se invece non amiamo, Dio non ci vede, non esistiamo per lui». La chiama la quarta dimensione, un principio non di uguaglianza, ma di armonia.

Il segreto A chi gli ribatte che è solo utopia, che nonostante gli sforzi ogni giorno sperimentiamo il fallimento, il limite, l’inutilità dell’impegno, le ferite che gli altri ci infliggono, risponde: «Il limite che senti per la presenza degli altri è proprio la parte di te che devi donare. Il limite che l’altro ti pone è Dio. È quello che chiamiamo Gesù Abbandonato, il Dio di questi tempi, un Dio che si sta putrefacendo per portare frutto, per generare sé stesso nel mondo». Questo è il segreto di chi vuole “organizzare” l’umanità, gli uomini tra di loro, in base all’amore. Piero è ottimista: «L’uomo non finisce in un vicolo cieco dell’evoluzione, perché ha sfondato con Cristo ed è entrato nella Trinità».

L’Eucarestia Sulla scia di Chiara Lubich, riconosce in quel Dio in divenire che è il creato, la legge dell’amore trinitario, grazie alla quale con «tutta la natura e tutto l’universo siamo in un’evoluzione globalmente positiva». Piero è convinto del fatto che «con l’Eucarestia emerge a livello di realtà umana l’intima presenza creante e divinizzante di Dio nell’universo. Essa opera un mio inserimento totale nel mondo. Naturalmente con l’animale ho un rapporto diverso che con un essere razionale, però io so che c’è qualcosa di simile a una linea d’amore che mi collega con esso. Anche esso, infatti, assieme a tutta la natura dalla quale io emergo e nella quale sono radicato, è in qualche modo con me e in me a concorrere alla realizzazione di quell’uno a cui tutta la creazione aspira. In una parola, e in un certo senso, io considererei l’Eucarestia come il sacramento dell’evoluzione»

L’UOMO COL CACCIAVITE NEL TASCHINO A 11 anni gli capita tra le mani un atlante di astronomia, pieno di pianeti, stelle e galassie. Ne è talmente affascinato che da quel momento, e per tutta la vita, non smette più di chiedersi da dove viene questo universo che si muove ed evolve, chi l’ha fatto e che senso ha. Piero Pasolini (1917-1981) non è però solo un sognatore: nella cantina della sua casa di Borghi, in Romagna, passa il tempo tra motorini, dinamo di biciclette, martelli e pinze. Ha sempre il cacciavite tra le mani. La bicicletta se la costruisce da solo, mettendo insieme pezzi riciclati, rimediati qua e là. Ha le mani d’oro, come si suol dire. Combinando sogni e cacciavite, all’università non può che scegliere fisica. Partecipa al team che, in parallelo a quello di Fermi, studia la scissione dell’atomo. Scoppiata la guerra, sta per partire per il fronte russo, ma per fortuna arriva l’armistizio del 1943. Rischia comunque la vita perché il suo paese, Borghi, è conteso tra partigiani e tedeschi: in quegli anni costruisce due rifugi per i suoi compaesani e una specie di mulino a vento per produrre energia elettrica. Poi finalmente la guerra finisce e trova lavoro in una ditta di Milano. Nel frattempo anima, instancabile, l’associazione cattolica San Tarcisio, organizzando viaggi, gite, vogate in mare (costruisce una barca di metallo riutilizzando alcuni serbatoi di fortezze volanti rimasti dalla guerra), ma anche giornate di meditazione e di studio. Questa attenzione per gli altri, soprattutto i giovani affinché si interessino alla vita senza perdere tempo in piaceri futili, gli viene dalla forte sintonia che avverte tra riflessione e azione pratica, tra fede e ragione. Studiando l’universo, gli sembra di cogliere «un movimento che va dal meno perfetto al più perfetto, da qualcosa di meno evoluto a qualcosa di valore più grande. E che ci sia una somiglianza tra il modo di procedere delle cose e il modo con cui si sviluppa l’umanità» (cf. AV – Piero Pasolini e la cultura dell’unità – Città Nuova).

FISICO E FOCOLARINO A 32 anni l’incontro inaspettato che gli cambia la vita. A fine 1949, una ragazza conosciuta a mensa gli racconta l’esperienza, a Trento, di un movimento ispirato al Vangelo: i Focolari dell’unità. Gli parla di Dio amore. Piero resta “folgorato”, perché è la risposta alle sue domande: «Questo è il senso della vita: l’unità nell’amore! Voglio che sia Dio lo scopo per cui vivo, e comunicare ad altri la stessa scoperta, a tempo pieno». Così, entrato nella comunità dei Focolari, comincia a viaggiare per l’Europa (Parigi, Spagna, Berlino), ovunque nascano nuove comunità basate sulla spiritualità dell’unità. Mette a servizio di questo ideale la sua ingegnosità (come in Camerun, dove costruisce una piccola centrale in piena foresta, per fornire energia elettrica al popolo Bangwa), l’intelligenza (scrivendo 8 libri e centinaia di articoli per Città Nuova, con una originalità di pensiero che attinge alle sue competenze di fisico, alla sua fede e alla sua esperienza in campo umano), la passione (quanti incontri vibranti con giovani da tutte le parti del mondo!). Ha un modo di parlare che affascina: se leggi su Città Nuova un suo articolo sulle galassie, alla fine ti accorgi che, pur senza nominarlo, ti ha dato Dio. Usa il cervello a gloria di Dio, senza paura dei risultati della scienza. Scrive per esempio sulla matematica: «Mi appare come espressione della logica degli infiniti modi di mettersi in rapporto delle cose. È come il segno trinitario delle cose». In lui non c’è clericalismo, né secolarismo, solo una forte esperienza personale di Dio. «Vedeva le cose dall’alto, tutto era per lui unificato: Dio, l’uomo, il creato. Vedeva la legge dell’amore che è in Dio, iscritta in tutto il creato, non solo nell’uomo». Serve questo ideale per tutta la vita, senza risparmiarsi, fino al gennaio 1981 quando la morte lo coglie a Nairobi, in Kenya.

 

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons