L’equivoco che favorisce l’industria dell’azzardo

Non basta solo curare e prevenire. Senza la revoca delle concessioni statali alle società commerciali, l’azzardo di massa continuerà ad essere incentivato nonostante i danni che produce. Non è una questione moralistica ma di democrazia economica
azzardo
Gratta e Vinci Foto LaPresse - Stefano Porta

Parlo da testimone diretto. Pensate ad un luglio bollente, una stanza nel palazzone della Regione Lazio popolata da tanti uomini in giacca e cravatta. Praticamente i rappresentanti dell’intera filiera dell’azzardo, dai big mondiali ai gestori delle macchine radunati nell’estate 2022, nell’ultima fase della giunta Zingaretti, assieme ai rappresentanti della società civile (presente solo la Caritas come realtà organizzata), per una consultazione sulla regolamentazione dell’offerta di azzardo sul territorio.

In pratica un passaggio procedurale per arrivare a modificare il testo di una legge regionale giudicata troppo restrittiva e perciò lesiva degli interessi “legittimi” degli operatori privati in regime di concessione pubblica. Tra i consiglieri regionali presenti, un intervento sulla necessità di preservare un settore economico significativo e uno di condanna di ogni “proibizionismo” di una pratica vecchia quanto il mondo.

Alla fine la legge è stata approvata con le modifiche chieste dalle imprese tra le proteste inascoltate della Caritas, che poi ha proposto, in seguito, un patto con i sindaci, considerati più vicini alla gente, per trovare nelle pieghe della norma locale un’interpretazione più restrittiva.

Alla riunione promossa nella “sala imperiale” del Laterano si è presentato solo qualche amministratore, nessuno da Roma Capitale, che è praticamente una città stato di 3 milioni di abitanti con alcuni quartieri trasformati in slot city, tra mini casinò, negozi di compro oro e società esperte in concessioni di crediti.

Il caso esposto permette di capire molte cose. È vero che l’azzardo è una componente del vivere sociale che attinge ad un rapporto di sfida con il destino. Esprime, perciò, una tensione che va ritualizzata e regolamentata per evitare che diventi martellante e prevaricante. La schedina settimanale del totocalcio rientrava in questa dimensione così come l’estrazione rituale del Lotto, la lotteria Italia e le regole elitarie dei casinò. Attività comunque pericolose, come testimoniano tanti documenti letterari, ma in qualche modo circoscritte.

La novità introdotta trasversalmente dai governi italiani a partire dagli anni ’90 è stata un’incentivazione ossessiva dell’offerta che ha avvantaggiato le industrie del settore.

Si è trattato di un cedimento strutturale della politica davanti ai poteri economici che è stata giustificata con l’illusione di contrastare le bische clandestine o per recuperare dei soldi per un bilancio pubblico sempre in affanno o con riferimento a raccolte finalizzate ad eventi straordinari (come il caso della ricostruzione post terremoto dell’Aquila o la bonifica delle recenti inondazioni avvenute in Emilia Romagna).

La situazione è aggravata dal fatto che la gestione di questo comparto è stata affidata ad alcune società commerciali in base ad una concessione pubblica che prevede, nel capitolato d’appalto, l’incentivo alla diffusione dell’offerta per far arrivare più denaro nelle casse erariali assieme ad un riferimento al “gioco responsabile” condensato nelle istruzioni esposte accanto ai locali dell’azzardo.

Il sistema delle concessioni funziona come avviene come con le autostrade, bene pubblico, affidate in gestione, con la liquidazione dell’Iri, fin dal 1999 ad una società controllata dalla famiglia Benetton.

Nel caso dell’azzardo esistono diversi concessionari tra cui svetta Lottomatica, società controllata ora da Apollo Global Management, un fondo miliardario statunitense di private equity, specializzato in ristrutturazioni. Ma la crescita vertiginosa del marchio si deve al gruppo De Agostini di Novara che continua a controllare la International Game Technology, multinazionale con sede a Londra, che si presenta come alfiere del “gioco responsabile” producendo dei rapporti sull’azzardo legalizzato assieme al Censis il cui presidente Giuseppe De Rita esprime giudizi molto positivi del tipo «Il gioco legale ha valore sociale perché è un’attività di massa che coinvolge milioni di italiani che si divertono e inseguono, anche solo per un momento, un sogno, e ha valore economico perché alimenta un sistema fatto di imprese, lavoratori ed entrate per lo Stato».

I rapporti della Direzione nazionale antimafia parlano invece di accertate infiltrazioni nella filiera produttiva che portano il fenomeno italiano dell’azzardo incentivato a diventare il bancomat delle cosche.

Circa la crescita dell’offerta dell’azzardo on line bisogna inoltre tener presente, come riportato su cittanuova.it da Filippo Torrigiani, la normativa di favore che esiste nella vicina Malta, Paese Ue, che erige un muro alle inchieste della magistratura italiana.

La questione dell’azzardo, perciò, offre uno sguardo della società con le sue logiche e poteri prevalenti.

Limitarsi solo a curare le patologie di questo sistema vuol dire accettare lo stato delle cose. L’opera di prevenzione è minata in partenza se non si propone una prospettiva di cambiamento generale e non solo dei singoli. Non ci si salva da soli. Il rischio reale è quello di diventare una sorta di indotto dell’industria dell’azzardo che fattura miliardi mentre scarsi fondi pubblici finanziano progetti educativi e di cura.

Il senso profondo del gesto, proposto da Slot Mob, di andare a premiare pubblicamente un barista che rifiuta di spacciare azzardo nel suo locale non è un’attività moralistica o “carina” ma eversiva di un ordine ingiusto.

È il riconoscimento di un testimone credibile del legame sociale che resiste al potere suadente del denaro. Commuove profondamente andare a rivedere l’intervista a Marco Venanzi, barista del quartiere di Tor Bella Monaca a Roma che spiega perché ha rifiutato le offerte allettanti collegate agli slot. Marco è morto nel 2020 a causa del Covid. Ci ha lasciato una lezione politica che non può essere banalizzata.

L’azzardo è un variabile impazzita sfuggita di mano ai cosiddetti decisori politici. È un colosso che, nel 2022, ha superato i 130 miliardi di euro di raccolta. Il fatto che l’80% venga redistribuito tra i clienti è funzionale alla sua progressiva diffusione che ha bisogno della fidelizzazione dei consumatori, tra i quali quelli che diventano compulsivi fino a consumare anche se stessi e le loro famiglie. Una trappola perfetta per tante persone esposte alla precarietà economica ed esistenziale.

Ma il colosso ha i piedi di argilla. Per abbatterlo bisogna togliere le concessioni pubbliche alle società capitali e gestire il settore in maniera responsabile avviando una progressiva ma decisa disincentivazione.

Un programma, ovviamente, che nessuna forza politica attualmente in parlamento è disposta ad adottare, come si comprende dal fatto che non esiste più il gruppo interparlamentare sull’azzardo che, tra l’altro, non era condiviso, nelle precedenti legislature, dai 5Stelle per segnare la loro diversità e lontananza da ogni compromesso. Tra i pentastellati si è impegnato solitariamente, fino al termine del suo mandato, il senatore Giovanni Endrizzi, ora tornato a fare l’educatore in un Asl del Veneto.

La pressione prevalente sulle Camere e sulle Regioni è a favore, invece, di una legge nazionale che imponga meno vincoli possibili, limiti di orario e di distanza dai luoghi sensibili, ad un’attività che, come dice De Rita, è un “valore sociale” ed invece è il segnale di una grave patologia. Parliamo della dipendenza delle casse dello Stato dalle entrate assicurate dal sistema dell’azzardo dato in concessione ai privati, senza considerare i costi umani, sociali ed economici di queste scelte.

Per questo motivo il governo ha deciso, ad esempio, di aumentare un giorno di estrazione del superenalotto con la scusa di recuperare fondi per gli alluvionati, invece di colpire gli extraprofitti delle società energetiche e farmaceutiche.

Esiste, tuttavia, una ricchezza di analisi e impegno civile maturato in questi anni dalla società civile. Un tesoro da valorizzare per dare vita ad una grande inchiesta condivisa sull’azzardo con il chiaro obiettivo di arrivare a revocare le concessioni alle multinazionali del gambling e alla loro filiera.

Una prospettiva che sembra inconcepibile in un tempo in cui, secondo l’economista Mark Fisher, la gente è indotta a credere, come conferma la guerra in corso, che sia «più facile pensare alla fine del mondo che alla fine del capitalismo».

Il caso dell’azzardo è perfetto per capire, in piccolo, a partire dal proprio quartiere, che esiste un’alternativa. Bisogna solo crederci davvero.

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