Le vignette, tra storia e memoria

A proposito delle vicende susseguenti alla pubblicazione delle vignette in Danimarca e alle esternazioni improvvide d’un ministro di casa nostra, le reazioni suscitate tra i musulmani italiani sono state in fondo improntate alla moderazione… Questo prova che la società civile in Italia sa fare le giuste distinzioni tra stupidità e intelligenza. Ci sono alcuni problemi drammatici nel mondo musulmano, ma ci sono anche coloro che, pur coscienti del passaggio difficile nelle relazioni tra Islam e occidente, sanno reagire con lungimiranza. Non c’è alternativa al dialogo, ad una maggior conoscenza reciproca. Dice un proverbio argentino: Per ballare il tango bisogna essere in due. Man mano che le cose vanno avanti, e per certi versi peggiorano, ci si accorge che il dialogo non è un optional, ma un’urgenza dei nostri tempi. I media diffondono notizie allarmistiche e le amplificano, rendendo talvolta difficile il dialogo. Penso che ciò sia dovuto al fatto che si ragiona troppo in termini di strutture, dimenticando che esse sono formate da esseri umani. Gli uomini e le donne che lavorano nei media hanno le capacità di gettare i giusti ponti, di far tesoro della mondializzazione delle culture, di favorire una conoscenza reciproca, di essere capaci di trasformarci reciprocamente, nel rispetto. La vicenda delle vignette satiriche sul Profeta pone enormi problemi: quello del rispetto della dignità altrui, e quello del riconoscimento reciproco, senza il quale c’è solo incomunicabilità. Su questi fronti i media sono in prima linea. Riguardo alla violenza di matrice islamica si ragiona troppo spesso in termini quantitativi, dicendo ad esempio che il terrorismo può pescare in un 5 per cento della popolazione musulmana. È sufficiente ragionare in questo modo? Dubito che le semplici analisi quantitative siano buoni strumenti per analizzare e capire l’insorgere della violenza politica e del terrorismo nell’Islam. In realtà, anche se la percentuale fosse minima, se su cento musulmani uno solo decidesse di mettere una bomba ad esempio alla Torre Eiffell, la violenza dell’atto sarebbe talmente forte che capovolgerebbe il dato statistico. Quello che più preoccupa nella vicenda della reale presenza del terrorismo di matrice islamica nel mondo, è che ciò porta con sé una sorta di corto circuito nella storia. Mi spiego: nell’ambito delle opinioni pubbliche mondiali, il terrorismo islamico, o la violenza politica di matrice islamica, dà spazio e ragioni a chi sta divulgando la teoria delle guerre tra le culture, tra le civiltà. Assistiamo ad una sorta di gioco dell’oca, in cui la gente normale ha l’impressione che l’Islam, invece di avanzare, torni immancabilmente alla casella di partenza, in cui viene affermato che il nesso tra Islam e violenza politica è inscindibile, e che dunque l’Islam è una religione di guerra, una fede intollerante. Questo gioco è molto pericoloso, perché sta svavando fossati difficilmente superabili all’interno delle singole opinioni pubbliche mondiali. Il terrorismo veicola un messaggio che è in qualche modo molto più grave della stessa violenza, perché tende a cristallizzare delle posizioni che erigono delle frontiere simboliche insuperabili: noi da una parte e gli altri dall’altra. Nel suo pensiero c’è un continuo va e vieni tra storia e memoria. Come agisce questo binomio nella contingenza attuale delle relazioni tra occidente e Islam? Ciò che vediamo apparire alla superficie delle società nasconde troppo spesso quel che giace sul fondo, che è molto più importante di quello che venga in superficie. Le nostre società hanno gravi difficoltà a trasformare la storia vissuta in una memoria condivisa. Questo crea fatalmente emarginazione, disagio, sentimenti di inferiorità in una delle parti in causa… Il mondo musulmano in generale soffre oggi del riconoscimento mancato da parte delle società occidentali, in questo spazio angusto tra storia e memoria. Quando affermo un po’ provocatoriamente che l’Alhambra dovrebbe diventare il simbolo dell’Europa, e non tanto dell’Islam, voglio affermare con questo che l’Alhambra è anche un pezzo dell’Europa. Quando ciò avverrà, vorrà dire che saremo stati capaci di risolvere i nostri problemi tra storia e memoria. Ora viviamo nella storia, ma in una storia incapace di costruire memoria. E memoria condivisa.

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