Le stagioni dell’amore

Il cinema parla sempre o quasi di amore. Si va dalle banalità ai drammoni. Ma, in un modo o nell'altro, il protagonista è  lui.

Vi piace il basket? Ai ragazzi della costa marchigiana moltissimo. Così il primo film sul basket, diretto da Alessandro Valori, si intitola ovviamente Tiro libero. Ma non è la solita storia di un campione giovane e bello, come è Dario, arrogante e viziato, capitano di una squadra marchigiana.

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Il ragazzo infatti, spocchioso com’è, quando vede il cognato in ospedale tra la vita e la morte, se la prende con Dio. E Dio gli rende la pariglia, secondo lui: a causa dei suoi eccessi viene condannato ai servizi sociali in un collegio di salesiani dove dovrebbe allenare dei ragazzi sulla sedia a rotelle. Il giovane ne è schifato, il duello con Dio va e viene finchè poco a poco Dario è costretto a donarsi ai ragazzini: questo gli fa un gran bene, gli illumina la vita. Anche perchè c’è Isabella di cui si innamora. Ma non è tutto. Il campione, inaspettatamente, capisce di soffrire di una malattia degenerativa che lo obbligherà a camminare col bastone. Il film delicatamente, racconta il dramma di un giovane d’oggi, pieno di vita, che deve accettare questo destino ma anche approfondisce, con levità, la ricerca di Dio da parte di un ragazzo. Sport, amore, scoperta delle cose che contano: è il filo che regge un film leggero, delicato e brillante, ma che dice molte cose, perchè basato su storie vere.

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Recitato con naturalezza da Simone Riccioni,  Maria Chiara Centorami, Biagio Izzo, Antonio Catania e Nancy Brilli è divertente e sincero, della serie che quando si amano gli altri, la vita cambia. Una parabola niente male, un piccolo gioiello italiano che non si aspetterebbe, un raggio positivo tra tante (troppe) commedie tristi.

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E triste non è la vecchiaia, protagonista ormai di parecchi film, come  Appuntamento al parco, diretto da Joel Hopkins con Diana Keaton e Brendan Gleeson. Una commedia molto inglese, raffinata ed elegante per narrare l’amicizia tra la sofisticata, e sola Emily, vedova con problemi finanziari e amicizie altolocate e ben poco sincere, e il barbone Donald, che vive in una baracca nel parco pubblico londinese di Hamstead. Dapprima diffidente, lo spia da casa col cannocchiale, poi gli si avvicina: lui è rude, scostante, lei non è abituata a questo stile. Ma gli speculatori, tra cui alcuni suoi amici, vogliono sfrattare l’uomo indipendente per costruire appartamenti . Sarà battaglia, perchè Emily si schiera con Ronald e rompe finalmente con il vecchio mondo falso, ritrova la sua libertà. La vecchiaia non è dunque un male, se porta al cambiamento di rotta, a scoprire nuovi possibili orizzonti di vita.

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Due figure opposte si direbbe, il selvatico Donald e la raffinata Emily, ma che , con vari dolori alle spalle, vogliono la stessa cosa: decidere da soli la propria vita, innamorarsi ancora e ritrovare la freschezza di avere un cuore, nonostante tutto, giovane e disposto all’avventura. Un racconto così intimo e liberatorio ha bisogno di due grandi attori, come sono i protagonisti e di un regista che li lasci liberi di essere sè stessi. Cosa che puntualmente avviene con humour molto britannico e la gaiezza di una storia d’amore senza età.

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Lontana da racconti melodrammatici come l’ultimo film di Sofia Coppola, L’Inganno, dove l’amore è qualcosa di malato e torbido, sfuggente e pericoloso, dentro l’aria settembrina in cui l’uomo ferito, accolto da un gruppo di donne, diventa elemento scatenante di conflitti interiori mai domati.

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