Le sfide dell’immigrazione nel rapporto Caritas-Migrantes 2016

Ci sono i numeri delle migrazioni su lavoro, scuola, carceri, rifugiati nelle oltre 400 pagine del dossier realizzato con Migrantes e che quest’anno taglia il traguardo dei 25 anni. «La nostra prospettiva è la cultura dell’incontro con l’altro. L’interculturalità non ci basta più», spiega monsignor Gian Carlo Perego
Migranti

«Il contatto tra italiani e immigrati è un noi e un voi che vorremmo finalmente fosse superato nella certezza di una "società delle culture"» esordisce monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, presentando il dossier Immigrazione realizzato in collaborazione con la Caritas e giunto quest’anno alla 25esima edizione: uno studio iniziato negli anni ’90 e che si annunciava già profetico, non solo per i dati statistici sulla presenza straniera in Italia, ma soprattutto per le molteplici prospettive sociali e culturali aperte sulla multiculturalità che abitava e avrebbe sempre più abitato il nostro Paese. Non solo numeri, ma volti, voci, incontri dietro a queste centinaia di pagine che analizzano difficoltà vecchie e nuove che la presenza straniera continua a suscitare, spesso accompagnata da polemiche sterili e non veritiere.

 

I migranti nel mondo Secondo i dati del dipartimento dell’Onu per gli Affari economici e sociali (UnDesa), il numero dei migranti internazionali ha continuato a crescere negli ultimi quindici anni: mentre nel 2000 erano 173 milioni, nel 2015 sono 243,7 milioni le persone nel mondo che vivono in un Paese diverso da quello d’origine. Va comunque precisato che, secondo le stime dell’Oim, la quota dei migranti irregolari sul totale dei flussi internazionali ammonterebbe al 10-15 per cento del totale, circa 24 milioni. L’Europa ospita il 31,2 per cento del totale internazionale dei migranti. Seguono l’Asia (30,8 per cento) e il Nord America (22,4 per cento). Tra gli 11 Paesi del mondo con il più alto numero di migranti, Stati Uniti e Federazione russa ne accolgono un quarto del totale. Germania, Regno Unito e Francia sono i principali Paesi europei ospitanti, la Germania in particolare accoglie il 76,2 per cento degli stranieri residenti nella Ue, mentre gli ultimi due posti nella classifica spettano alla Spagna e al nostro Paese.

 

I nuovi residenti italiani Al 1° gennaio 2015 risiedevano in Italia 5.014.437 cittadini stranieri e più della metà donne, segno di un desiderio di maggiore stabilizzazione familiare. Rispetto al 2014 la popolazione straniera è aumentata di 92.352 unità con una forte incidenza dei Paesi dell’Europa centro-orientale, seguiti da Africa settentrionale e Asia. Tra le nazionalità più numerose si distinguono il Marocco (13,2 per cento), l’Albania (12,7 per cento), la Cina (8,5 per cento) e l’Ucraina (6,0 per cento). Dopo il ricongiungimento e il lavoro, il terzo motivo di richiesta di permessi di soggiorno è legato alla richiesta di asilo (7,0 per cento). Al 1° gennaio 2015 in Italia sono presenti ben 198 nazionalità su un totale mondiale, al 2016, di 232. Ad inizio 2015 quasi il 60 per cento degli immigrati vive nel Nord e nel Centro e in particolare in Lombardia (23,0 per cento), Lazio (12,7 per cento), Emilia Romagna (10,7 per cento) e Veneto (10,2 per cento).

 

I lavoratori poveri e le rimesse Nel II trimestre 2015 su un totale di 4.067.145 persone in età da lavoro, 2.360.307 sono occupati stranieri, di cui 66,7 per cento extra Ue e il 33,3 per cento sono lavoratori comunitari. Quasi il 50 per cento di questi lavoratori ha un contratto a tempo indeterminato ma con un notevole differenziale retributivo rispetto agli italiani. Le donne sono tra le più svantaggiate. Quasi il 42 per cento degli occupati stranieri riceve un salario inferiore di due terzi al livello di salario medio e vengono considerati lavoratori poveri. Gli stranieri sono occupati nel settore dei servizi collettivi e personali (29,8 per cento), nell’industria (18,4 per cento), nel settore alberghiero e della ristorazione (10,9 per cento), nelle costruzioni (9,6 per cento), nel commercio (8,3 per cento). Nell’insieme di questi settori è collocato il 77 per cento degli immigrati, distribuiti soprattutto nelle regioni del Nord Ovest e del Nord Est, dove un terzo totale dei disoccupati è rappresentato da non italiani. Eppure, nonostante le avverse condizioni economiche e lavorative, le loro rimesse, cioè il trasferimento di denaro verso i Paesi di provenienza sono un fattore di crescita notevole.

 

Secondo la Banca mondiale, le rimesse monetarie verso i Paesi in via di sviluppo sono stimate in 432 miliardi di dollari nel 2015, con un incremento molto basso rispetto all’anno precedente, nonostante la consapevolezza che le spedizioni informali di denaro superano spesso quelle ufficiali. Il rallentamento della crescita delle cifre inviate è riconducibile a tre fattori: le difficili condizioni economiche nei Paesi in cui gli stranieri si sono stabiliti, l’apprezzamento del dollaro americano contro le valute nei Paesi d’origine e il cosiddetto “effetto del tempo”, secondo cui il processo di integrazione nella società di approdo allenta i legami con il Paese d’origine e determina una riduzione di cadenza e flusso delle rimesse. L’India è il Paese che riceve la quota maggiore del volume globale delle rimesse, con una cifra stimata di 69 miliardi di dollari nel 2015, seguita dalla Cina (64 miliardi) e dalle Filippine (28 miliardi). Ci sono 26 Paesi nel mondo nei quali l’incidenza delle rimesse sul Pil supera il 10 per cento e per molti altri è la principale fonte di finanziamento. Nel 2014, il volume totale delle rimesse inviate dall’Italia è stato di 5,3 miliardi di euro, con una diminuzione rispetto al 2013 (3,1 per cento). I Paesi beneficiari sono Romania e Cina.

 

I reati La presenza straniera nelle carceri è diminuita, ma sul numero generale dei detenuti un terzo continua a non essere italiano, sono  17.340 su un totale di 52.164. La nazionalità più rappresentata negli istituti penitenziari è quella dei cittadini provenienti dal Marocco, seguita da rumeni, albanesi e tunisini. Non si può però concludere l’analisi con l’attribuzione a determinati gruppi etnici di una maggiore propensione al crimine, perché le comunità straniere più coinvolte in reati sono in realtà quelle di più antico insediamento e quelle numericamente più consistenti. Desta preoccupazione il sodalizio criminale che le mafie straniere stanno cominciando a stringere con quella italiana.

 

La scuola Sono cresciuti di 11.243 unità gli alunni stranieri nelle scuole italiane e degli 814.187 che siedono su banchi di scuola più della metà è nata in Italia, nelle regioni che esercitano maggiore attrattiva dal punto di vista lavorativo, e quindi il Nord e il Centro, che vengono scelti appunto come luoghi privilegiati di residenza. I numeri degli studenti di altre nazioni sono stati un apporto nella strutturazione delle classi, alcune delle quali non si sono chiuse grazie alla loro presenza e d’altra parte spingono ad una rivisitazione dei programmi e della formazione.

 

Le scuole sono assieme ai luoghi di lavoro i principali spazi di integrazione, in grado di favorire quella “cultura dell’incontro” auspicata da monsignor Perego nelle sue conclusioni per superare l’abuso della parola interculturalità a favore del “dialogo”. È la relazione infatti, secondo il direttore di Migrantes, ad incidere sulla «società civile del domani, quella che è in grado di "integrare, dialogare e generare”».

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