Le rivoluzioni durano

Contrariamente alle previsioni di tanti osservatori, le contestazione al potere in carica di turno continuano ai quattro angoli del pianeta. Il caso libanese è emblematico

In Algeria non si molla la presa; ad Hong Kong continuano le contestazioni; in Cile sono stati ottenuti risultati notevoli; in Bolivia pure; in Sudan si continua a protestare, e così in IraqLe “rivoluzioni” dei giovani (e meno giovani) contro la corruzione e le sperequazioni sociali, contro le divisioni artificiose della società di turno continuano in tutto il mondo, a mostrare come forse è iniziata una “contestazione costruttiva”, favorita ma non dettata dai social, che si basa su poche idee condivise a livello planetario: la cura del creato, la lotta alla corruzione e all’ingiustizia, la libera determinazione dei popoli contro le ingerenze straniere, una leadership “condivisa”. Un fenomeno da seguire attentamente.

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Il Libano è caso a sé (il quadro politico-sociale è unico al mondo) ma è nel contempo pienamente inserito “di diritto” nelle attuali contestazioni planetarie. Arrivati ormai al 37° giorno di contestazione a un potere corrotto che non sa come reagire e che cerca di salvare il salvabile, venerdì 22 si è celebrata la Festa dell’indipendenza nazionale. Il presidente Aoun ha inviato un messaggio televisivo preregistrato, che cercava di dare l’impressione di condividere le rivendicazioni popolari, ma senza arrivare a formulare la sola decisione che la folla attende, cioè la nomina di un nuovo primo ministro espressione della società civile col mandato di formare un governo di tecnici che sappia risolvere gli annosi problemi del Paese: elettricità, immondizia, sistema bancario, acqua e, soprattutto, corruzione. La consueta sfilata militare si è svolta nel chiuso di una caserma, dinanzi a una folla composta esclusivamente da membri dell’establishment con sguardi che esplicitavano il timore per la tenuta del governo (e forse del Paese). I partiti agiscono in ordine sparso, nervosi e permalosi: si riparla persino di una possibile frattura del fronte sciita, con Amal da una parte ed Hezbollah dall’altro.

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E la folla? La folla scende al solito in piazza e in 48 ore riesce ad organizzare una “parata civile”, una “vera festa alternativa dell’indipendenza” con l’allegria e la determinazione propria di questa parte del pianeta. Così, in mezzo a una folla festante di centinaia di migliaia di persone, a Beirut in piazza dei Martiri, la piazza di tutte le contestazioni, sono sfilate una dopo l’altra le diverse categorie della società, seppur seguendo una lista assai inconsueta: i reduci di guerra (e va bene), l’unica auto prodotta in Libano (una première), i reduci di guerra impettiti (giusto), i medici, gli avvocati, gli informatici e gli artisti (le corporazioni aggiornate), ma anche i “diversamente abili” (bellissimi), le mamme coi figli e poi i papà con i loro piccoli (mai visti in questo tipo di sfilate), i “nemici della corruzione” (un folto gruppo, ovviamente), la diaspora (due aerei atterrati da Parigi hanno portato una rappresentanza dei 14 milioni di libanesi che vivono all’estero) i motociclisti e i ciclisti (in una confusione-ordinata indescrivibile), dei cavalieri addirittura. Il tutto, poi, è stato completato con una veglia di meditazione collettiva di 15 minuti e con l’entrata in piazza del nuovo simbolo della rivoluzione, un avambraccio eretto verticalmente con pugno chiuso, senza reminiscenze comuniste peraltro, dopo che nella mattinata il precedente pugno, più piccolo, era stato dato alle fiamme per poterlo sostituire.

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Il tutto in un clima di festa da kermesse paesana, da taluni criticato a dire il vero anche qui in Libano, ma credo espressione della natura gioiosa e creativa di questo popolo che vuole superare lo stallo di una democrazia confessionale (lo ricordiamo, 18 comunità di natura religiosa con rappresentanze fissate da carte e accordi, come quello di Taef) che ha sì permesso al Libano di sopravvivere nel post-guerra, ma ha bloccato la società e ridotto la politica a una “spartizione della torta”, con corredo di corruzioni e malversazioni varie. Se poi si aggiunge la crisi economica, con una svalutazione del dollaro di fatto, ecco che appare forse sorprendente il fatto che il popolo scenda in piazza per far festa: ma per chi conosce la storia del Libano non è strano che si cerchi di superare il passato tragico con un potenziale creativo e gioioso.

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I prossimi giorni saranno decisivi per capire se la pressione popolare riuscirà a dare la spallata decisiva al potere attuale. Probabilmente si arriverà a compromessi, e così il governo sarà politico-tecnico, e non solo tecnico, come esigono i rivoluzionari puri e duri. Sperando che le tensioni non sfocino in violenze, soprattutto per l’incognita degli Hezbollah filoiraniani messi all’angolo, e per le contestazioni più dure, che hanno preso di mira i leader politici del partito di Aoun e degli sciiti di Amal, accusati di essere i più corrotti del lotto (forse un po’ avventatamente, perché la corruzione è generalizzata).

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Il Medio Oriente bolle. Mentre il vicino Israele vive un’inedita crisi politico-giudiziaria, mentre in Siria si ricomincia a morire ad Aleppo e la guerra nel Nord del Paese s’incattivisce, mentre in Iraq la contestazione anti-Iran continua con forme spesso e volentieri violente, mentre in Turchia si spacca il partito del presidente, mentre in Egitto la società sembra in ebollizione, mentre le potenze regionali (Arabia Saudita e Iran) conoscono difficoltà inedite, mentre le grandi potenze non cessano di voler dettare i loro desiderata, ma non sempre con successo… Mentre tutto ciò accade, il piccolo Libano cerca una via di salvezza inedita.

 

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