Le regole ci sono , ma

Dovevo recarmi a fare alcune visite mediche all’Inail della mia città. Erano le nove quando, entrato dentro l’istituto, ho iniziato il solito iter: numero all’ingresso e attesa di venir chiamati all’ufficio accettazione. Una volta lì si presenta la richiesta del medico. Quindi viene dato un altro numero e indicato in quale ambulatorio andare: a questo punto si rifà la fila. Mentre stavo aspettando il mio turno, vedevo arrivare trafelate anche persone anziane o invalide. Aspettavano un po’ e poi, smarrite, si rivolgevano all’accettazione per chiedere dove andare. Notavo che veniva loro risposto in modo abbastanza sgarbato di munirsi del numero, altrimenti non potevano essere accettate. Così dovevano rimettersi in fila e di nuovo aspettare. Evidentemente in questo iter qualcosa non funzionava. Rattristato, capivo lo sgomento e le proteste di quei poveretti. Eppure cosa sarebbe costato mettere in un punto più visibile la macchinetta distributrice dei numeri oppure collocare una freccia con la dicitura: Si prega di munirsi del numero? Ho provato ad accennarlo ad un impiegato della portineria, ma la replica è stata che incombenze del genere non gli competevano. A questo punto mi sono piazzato vicino alla distributrice e, mentre aspettavo di essere chiamato, invitavo chiunque entrava a ritirare il numerino. Così per quasi un’ora, mentre gli occhi di tutti erano puntati su di me. Ad un tratto un tale che aveva assistito alla scena, mi si avvicina tutto agitato e sbotta: Ma le sembra questa una cosa ammissibile nel 2008? Qui manca organizzazione, manca il rispetto per noi, non esistono regole!. A dire la verità – cercavo di essere conciliante -, le regole ci sono: basterebbe metterle in pratica. Vede, mentre io aspetto il mio turno, mi metto ad avvisare il pubblico così il tempo mi passa più veloce mentre aiuto queste persone a non fare troppa fila. E poi, forse, domani metteranno un cartello!. L’altro si è calmato e in silenzio mi ha guardato andare verso l’accettazione (nel frattempo ero stato chiamato). Mentre m’avviavo verso l’ambulatorio mi è venuto in mente che forse qualcuno stava ridendo di me, ritenendomi una persona ingenua. Ma la cosa non mi toccava per niente: a me bastava essere stato coerente col Vangelo. Finalmente anch’io ho concluso i miei giri fra i corridoi e, terminata la lunga visita, alle undici e mezzo mi sono avviato al parcheggio per prendere l’auto e tornare a casa. Nel passare davanti all’ingresso sono rimasto piacevolmente sorpreso nel vedere uno di quelli che facevano la fila seduto vicino alla macchinetta dei numeri a staccare numeri e a porgerli alle persone che arrivavano. Stefano Bologna – Firenze Lo avevano dato per morto Dovevo sottopormi ad un intervento chirurgico. Nella mia stessa camera d’ospedale era stato ricoverato un giovane rumeno gravemente ferito: mentre attraversava i binari a bordo di un motorino nei pressi di un passaggio a livello incustodito era stato investito da un treno. Pur nella disgrazia, poteva ritenersi fortunato in quanto nel violento impatto era stato scaraventato lontano dai binari e quindi non investito, pur subendo la frattura del bacino e di altre parti del corpo. A meravigliarmi fortemente era il fatto che non si lamentava tanto per il dolore quanto per non poter più raccogliere pomodori ed aiutare così la famiglia rimasta in Romania (per questo si trovava clandestinamente in Italia). Intanto la stampa locale lo aveva dato per morto e lui era disperato perché non aveva nessuna possibilità di contattare e rassicurare i suoi familiari. Ciò che più mi addolorava era costatare come nessuno si curasse di quel giovane arrivato sporco e privo d’indumenti. Non potendo starmene indifferente, ho sollecitato gli infermieri a chiamare un’assistente sociale e a contattare la famiglia. Ma la risposta è stata: È un clandestino, la sua situazione non è regolare… e via dicendo. Allora ho chiesto a mia moglie di portare qualche indumento, sapone, succhi di frutta; intanto cercavo il modo di aiutare il ragazzo a contattare la famiglia. Bloccato com’ero in ospedale, non era facile, però pregavo, fiducioso che Dio non avrebbe abbandonato questo suo figlio nel bisognoso. L’indomani alcune volontarie dell’Avo, passando tra le corsìe, si sono informate se avevamo bisogno di qualcosa. Per me, ho detto loro, non occorreva nulla; piuttosto si dessero da fare per quel ragazzo. E loro ad assicurarmi che ne avrebbero parlato con un collega più esperto in materia. Nel pomeriggio, mandato da loro, si è presentato, guarda caso, un mio ex collega (vigile urbano in pensione come me), il quale nel giro di poco tempo è riuscito a procurarsi il numero di telefono di un amico del rumeno il quale aveva sempre fatto da tramite con i suoi familiari privi di telefono. Il giovane ha potuto così avere un commovente colloquio con la madre che ormai lo credeva morto. Ma la cosa per me più bella è stata il risvegliarsi attorno a lui della solidarietà: infatti un signore ricoverato nella nostra stessa camera, alquanto scontroso e chiuso in sé stesso, rendendosi conto durante la notte che quel giovane impossibilitato a muoversi aveva un bisogno, si è alzato e gli è andato vicino per aiutarlo. E anche fra il personale e i medici ho cominciato a notare un atteggiamento di maggiore attenzione verso di lui.

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