Le donne e il calo delle nascite in Italia

È la nascita di figli che, essendo poco supportata a livello di welfare, abbassa ulteriormente le possibilità di essere occupate e avere una carriera, oppure è la bassa occupazione delle donne che provoca come conseguenza una minore natalità?
ANSA/ANGELO CARCONI

La natalità nel 2016 è in ulteriore in calo, le cause sono profonde e vengono da lontano. Aumenta l’età delle donne al primo parto, pari a 32 anni e questo è il dato principale della contrazione delle nascite in quanto il ciclo biologico sostiene il successo della gravidanza, afferma Vincenzo Santandrea ricercatore dell’Ipres. Inoltre, le donne sotto i 32 anni e sopra i 32 anni hanno un tasso di fecondità per donna simile, un dato preoccupante si si pensa che le condizioni di fertilità e fecondità sono di molto superiori fino ai 30 anni.

Il tasso di fecondità è sempre stato basso negli ultimi anni, ma tende a scendere ancora facendo registrare, nel 2016, 1,34 figli per donna in Italia, 1,4 nel Nord, 1,31 al Centro e 1,29 nel Mezzogiorno (1,25 figli per donna in Puglia). È preoccupante il fatto che le giovani donne facciano pochi figli. Uno dei problemi principali è la bassa accessibilità ad un lavoro che sia anche stabile per un periodo di tempo, fattore necessario a sostenere la formazione di coppie giovani stabili che si aprono con fiducia ad una generatività generosa. Infatti, le donne arrivano oltre i 30 anni nel mercato del lavoro con una occupazione sufficientemente stabile, riducendo drasticamente il tasso di fecondità.Si aggiunga l’effetto migratorio, prosegue Santadrea, che evidenzia l’aumento di persone giovani che emigrano dall’Italia e dal Mezzogiorno, verso il Nord dal Mezzogiorno e verso l’Estero dal Nord.

Il saldo migratorio (entrate-uscite dall’Italia) è poi anche diminuito in questi ultimi anni, passando da 493.000  del 2007 ad appena 135.000 nel 2016. Questi fenomeni che si stratificano nel tempo aumentano il trend negativo con un forte accento sulle cause che fanno registrare il peggioramento della previsione futura. L’effetto dell’invecchiamento della popolazione è dovuto anche all’aumento della speranza di vita, che ingrandisce il tasso della popolazione anziana presente nel Paese. Questo comporta anche la diminuzione delle opportunità di sviluppo economico, una contrazione degli investimenti, un tasso di innovazione più lento, il cambiamento del comportamento di acquisto e dei consumi, oltre ad un aggravio della spesa pubblica per la crescita dei bisogni di welfare e di pensioni.

L’immigrazione straniera che ha sempre comportato un apporto positivo rallentando la denatalità, evidenzia una diminuzione del tasso di fecondità totale, pur essendo molto più elevata di quella delle donne italiane (1,95 figli per donna contro 1,27). Da questa analisi appare evidente che il dato più critico è proprio la mancanza di accesso al lavoro delle donne e dei giovani tra  20 e 30 anni, che comporta l’assenza di sicurezza e di progettazione futura per i giovani che vogliono formare famiglie e rapporti stabili nel tempo.

Un secondo fattore è la carenza di politiche pubbliche di sostegno alla formazione di giovani famiglie con figli, un fisco che penalizza le famiglie con figli. Mettere al mondo più di un figlio in Italia aumenta vertiginosamente il rischio di entrare nel tunnel della povertà.

mamma

La parlamentare europea Elena Gentile, impegnata da anni sul tema del welfare e della conciliazione, ritiene che sia in atto un collasso culturale: le donne hanno perso il desiderio di fare figli, a causa della mancanza di sostegno sociale e delle condizioni di insicurezza anche economica. Dalla ricerca su Natalità e Maternità condotta per la Commissione Europea in collaborazione con la consigliera di Parità della Regione Puglia, Serenella Molendini, si evince che i dati del oltre l’80% degli intervistati tra i 18 e i 32 anni vorrebbe una famiglia composta da due o più bambini, ma solo il 60% pensa che, considerate i limiti e le difficoltà che incontrerà, riuscirà a realizzare tale obiettivo (dati del “3°Rapporto giovani 2016 ”). Il problema, dunque, è non tanto e non solo la paura di perdere il lavoro dopo il parto, di dover interrompere la carriera, ma proprio l’assenza del lavoro per le donne giovani che di conseguenza non programmano figli.

I principali sostegni alla maternità di cui ci sarebbe bisogno allora, più che singoli provvedimenti o bonus, sarebbero da una parte la riduzione del costo dei servizi per l’infanzia attraverso agevolazioni fiscali, dall’altra la crescita e l’aumento dei posti di lavoro per le giovani donne. Servirebbero, inoltre, misure sempre più ampie di welfare aziendale che aumentassero benessere e produttività nei luoghi di lavoro. Sarebbe necessario, infine, un forte cambiamento culturale includendo gli uomini in una nuova narrazione, partendo da una maggiore condivisione della cura e da congedi di paternità obbligatori più estesi.

Nonostante l’Italia sia un paese in cui è molto accentuata la retorica della maternità, nonostante, sul piano formale, sia uno dei paesi che tutelano maggiormente la maternità (ma solo per le lavoratrici standard!), osservando ciò che avviene nella pratica, la situazione è molto diversa. Le soluzioni – prosegue Molendini- per le donne madri spesso riguardano o la contrazione degli orari (il part time) o l’assenza dal lavoro (congedi obbligatori e facoltativi) che, seppure costituiscano diritti fondamentali, sono strumenti che non favoriscono la cittadinanza attiva delle donne sui luoghi di lavoro e che portano anche grave danno alle carriere e alla previdenza. Perciò, questi strumenti risultano sempre più inadeguati e finiscono per discriminare le lavoratrici standard dalle lavoratrici precarie, oggi in gran numero.

Su questi temi è, dunque, in atto una discussione molto ampia con proposte di soluzione che vanno dall’innovazione organizzativa, ai servizi di cura non costosi ed estesi sul territorio, alle incentivazioni e defiscalizzazione del welfare aziendale con le Leggi di Stabilità 2016 e di Bilancio 2017. Vari studi ed esperienze aziendali mettono in luce che quando le imprese mettono in campo strumenti per negoziazioni specifiche sull’organizzazione del lavoro, sulla gestione della maternità e paternità, sul welfare aziendale, ottengono risultati migliori sulla riduzione dell’assenteismo, sulla fidelizzazione delle lavoratrici/lavoratori, sulla produttività dell’azienda, sul benessere di tutti.

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