Lavoro corale dietro il “sì”

A un anno dal varo della legge di delega sul federalismo fiscale, è stato approvato il primo decreto legislativo attuativo, noto come “federalismo demaniale”.
Spiaggia

A un anno dal varo della legge di delega sul federalismo fiscale, è stato approvato il primo decreto legislativo attuativo, noto come “federalismo demaniale”. È il primo e anche l’unico decreto possibile, al momento. Esso si riferisce a una vasta gamma di beni che dallo Stato saranno trasferiti ai livelli di governo inferiori, per attuare quella parte dell’art. 119 della Costituzione secondo cui «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio». Immobili civili e – almeno in parte – militari, spiagge, miniere, laghi, aeroporti…, fatta eccezione per le entità di rilievo nazionale, passano quindi di mano. Un’operazione mastodontica, che avverrà gradualmente ma rapidamente, dando inizio anche all’autonomia di entrata degli enti territoriali: essi infatti potranno, in presenza di determinate condizioni, vendere i beni immobili (destinando il ricavato a ripianare il debito locale e statale) e, per quelli sui quali si incassano canoni, incamerarli.

Ma oltre al contenuto, va evidenziato il metodo del lavoro parlamentare. Alla ricerca del massimo consenso, nella Commissione bicamerale appositamente insediata in materia di federalismo fiscale, è stata percorsa una strada innovativa: sono stati nominati due relatori, uno del Pdl e l’altro del Pd, che hanno redatto un testo congiunto di parere, chiedendo al governo, che ha lavorato gomito a gomito con la Commissione, modifiche concordate. Il voto finale sul parere ha coagulato un notevole consenso, con l’adesione congiunta e inedita di Pdl, Lega e Idv, l’astensione del Pd e il voto contrario limitato a Udc e Api.

Metodo innovativo, da coltivare e perfezionare, soprattutto sul fronte dell’approfondimento delle questioni. Nel decreto infatti si percepisce una certa frettolosità, che mal si coniuga con questioni di straordinaria complessità anche sul piano giuridico. Sintomo ne è qualche problema che resta aperto. Innanzitutto sul fronte perequativo, perché naturalmente i beni non sono distribuiti in modo omogeneo sul territorio nazionale, concentrandosi in alcune regioni centro-settentrionali. E purtroppo nel decreto manca qualsiasi ipotesi redistributiva.

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